lunedì 4 maggio 2009

Inaffidabile

Un tempo esisteva la primavera, e la sindrome primaverile. Ovvero, quella che toccava in sorte a me; inappetenza prolungata (un mese circa), felice periodo in cui davo fondo alle eccedenze invernali e facevo fuori il grasso in più, volgarmente parlando.
Infatti, per un mesetto mi nutrivo di cracottes (mi sa che era il nome della marca, non mi ricordo più, comunque erano perfette, un mix di segatura e pan biscotto, ti ingozzavano come un tacchino ed essendo tutte carboidrati puri, ti mandavano in aceto il fisico).
Si aggiunga che non mi facevo mancare l'insalatina, le verdurette croccanti che la Mama preparava con apprensione, temendo che la figlia di quasi un metro e ottanta stirasse le zampe per inedia (rischio pressoché inesistente, non mi facevo mancare una scatola di Fieste ogni tre giorni), yogurtino fruttato, succhi di frutta. Insomma, mangiavo leggero ( a parte le Fieste).
Era il corpo stesso a scegliere, non io. Chiudeva i circuiti, e chiedeva solo cose eteree (abolite le costate al sangue, gli spezzatini, gli stracotti e via cantando). Si autopuliva, visto che se stavamo ad aspettare me, si stava freschi.
Quando ero molto più piccina si aggiungeva anche l'innamoramento casuale per lo sventurato di turno, incolpevole oggetto d'amore che fuggiva, ragionevolmente, a gambe levate. Il cervello era un tino in ebollizione di sfrenate endorfine, e i bisogni primari venivano avvertiti pochissimo (restava sempre sordo, sullo sfondo, il richiamo delle Fieste, però).
In questo modo, la pancia si assottigliava, perdeva la rotondità invernale e si preparava all'abbronzatura e ai muscoletti(?) dell'estate, salvo tornare tondetta ai primi freddi d'autunno, ma ormai il suo porco dovere l'aveva fatto e poteva starsene a maggese per un po'.
Ora, invece, non si sa.
L'orologio svizzero, che mi pregio di chiamare corpo, adesso fa quello che vuole, non si può più contare su di lui, no no.
Da marzo, più o meno, la sindrome primaverile ha lasciato il posto ad un "pititto lupigno" , secondo la felice definizione del Montalbano nazionale. E mangio tutto ciò che trovo sul mio cammino. Una vera fame da lupo.
Mai sazia, mi sbafo le patatine, seguite dai biscotti al cioccolato, seguiti dai fonzies, seguiti dalle barrette kinder (l'alternanza dolce/salato e ritorno è un mistero, prima mi faceva senso, adesso è il nuovo Verbo. Mah).
Al mattino il primo pensiero non va all'umanità, ma a quello che ho in dispensa e nel frigo. Mi alzo perché il cervello mi spara in 3D le merendine stracolme di marmellata, corredandole di odorini deliziosi e del croc della confezione che si spacca. Bastardo.
Penso al profumo del pesce arrosto e, come Montalbano, sento l'effluvio del mare.
E sono ben consapevole che la battaglia è persa. Io non ho volontà, non così, non in questo caso. Un pigro magro è un miracolato, e lo sa. Un pigro che inizia ad invecchiare e viene punito dagli dei per ciò che è, beh, è proprio scalognato. La vita, in un modo o in un altro, il conto te lo presenta sempre.
E adesso?

3 commenti:

Gillipixel ha detto...

"...ma ormai il suo porco dovere l'aveva fatto e poteva starsene a maggese per un po'..."

certi passaggi, come questo, sono veramente di una simpatia geniale...o di un genio simpatico, a scelta :-)

Vanessa Valentine ha detto...

:))))))))
Simpatica può andare, sul genio non ci giurerei...
anzi, posso produrre fior di testimoni pronti a dire che sono tutto fuorché sveglia...
;))))))

Gillipixel ha detto...

ehehehehe :-) non-svegliezza e genialità possono andare benissimo di pari passo :-) ne nasce una genialità più pigra, ma sempre preziosa :-)