giovedì 28 maggio 2009

Pittori che piacciono (e perché e percome)

Stamattina Mestre era lucida e risplendente, incredibilmente attraente come le tizie scialbe dei quiz in televisione, infarinate e panate dai truccatori Raiset a puntino. Insomma, bella. E dirlo di Mestre è già un passo considerevole.
La luce del sole brillava tra le foglie verdi (la cosa che preferisco guardare in estate, stesa in giardino sulla vecchia sdraio bianca mangiata dal calore), con tutte le foglioline birichine che si muovono col vento, cambiando sempre sfumatura, un mare riposante sulla mia testa.
C'è un negozietto di cornici e arte varia, poco lontano dal mio ufficio: anni fa ci ho comprato un gigantesco poster di Edward Hopper, "Il faro a Two Lights" (faro a due luci? oppure il posto si chiamava Due Luci, causa micragnosità dell'erogante compagnia elettrica americana? Mistero).
Comunque sia il poster campeggia ancora in salotto, in una bella cornice azzurrina che pendanteggia con il cielo azzurro al suo interno, con la sua prospettiva dal basso, come se uno si arrampicasse sulla collina e ci sbattesse contro.
E oggi in vetrina c'era "Scena di strada col sole", un quadro del 1934, meraviglia luminosa, la prospettiva priva di vita umana che Hopper ama mostrare, nei suoi quadri o le persone giganteggiano nella loro imbarazzante solitudine alienata, o non ci sono proprio. Qui si vede una strada, sembra mattutina, sembra eterna. Io preferisco i quadri senza gente, così come preferisco fare foto senza persone, senza di me, ancora meglio.
La luce pastosa del quadro era stupefacente, ti scordi che è un pezzo di carta, lo guardi e sei dentro. E non vuoi uscire.
Il mio preferito di sempre è "Camere per turisti", una casa bianca con gli infissi verdi e le tendine esterne nere, vista di notte, come di passaggio su una macchina. La casa sembra illuminata dai fari, solo la facciata ti fa l'occhiolino, accogliente, il bovindo è irradiato da una calda, uterina luce gialla, si vede un salottino ammobiliato, nessuno apparentemente dentro. Alcune finestre danno il senso della profondità del buio che la circonda, sulla sinistra. Sarà che di sera o di notte adoro buttare un occhio nelle case attraverso le finestre luminose, sentire l'atmosfera di casa, la dolcezza della domesticità degli esseri umani. Nella casa di Hopper ho sempre voluto entrare (una volta l'ho anche sognata, ma mi sono fermata sulla porta). Questo quadro ti vuole bene, e ti invita ad amarlo. Non ci puoi fare niente.
Nell'altra vetrina c'era invece una riproduzione di Jack Vettriano, il famoso "Maggiordomo che Canta", con la coppia che balla in riva al mare, l'elegante domestico che regge l'ombrello e la domestica che osserva la scena. Ora, Vettriano ha un sacco di successo, ed è praticamente ovunque, come lo stesso Hopper o Van Gogh ( e se il Rosso avesse avuto più fortuna, tipo nascere cento anni dopo, o il Prozac in tasca, sicuramente la fama in vita sarebbe arrivata, e con essa il vil danaro). Qualcuno dice che Vettriano mette nei suoi quadri l'atmosfera noir, copiando "I Nottambuli" di Hopper e arricchendo il tutto con più sesso e roba sadomaso (almeno gli ultimi fatti), ma resta il problema che non sa fare bene le facce, essendo partito da autodidatta (Hopper spennella espressioni bellissime con due tocchi, Vettriano spesso sguincia i visi sotto occhiali, cappelli, trequarti, insomma, qualche trucchetto lo usa). E' anche vero che in certi autoritratti è proprio bravo,e le sue donne che stanno per tradire sono dark ladies che abbassano lo sguardo sul bicchiere, mentre l'amante si protende a sussurrare al loro orecchio parole da non ritorno. Oppure sono ballerine da localetto equivoco che si mettono il rossetto fumando sotto una allucinata lampadina, donne in controluce sedute a truccarsi "solo del rosso più profondo", del colore del sangue, che faranno sgorgare dalle loro vittime spesso consenzienti (la donna nei film noir è una spider woman che tesse la sua tela, cattura e divora gli sventurati, è una donna con la pistola, è una donna che non dovrà vivere a lungo, per il bene di tutti). Però è indubbio che Vettriano a Hopper deve parecchio, condividendo una visione dell'esistere sospesa, potenzialmente letale, enigmatica, minacciosamente ricolma di pulsioni, e tutte indiscutibilmente fascinose.
Insomma, rimanevo lì in piedi a guardare i quadri, con la città che si incasinava dolcemente nel traffico, le frenate nella rotonda nuova, il profumo grasso di crema, burro e caffè dalla pasticceria nell'aria, quello fresco e speziato delle piante concimate dalla fioreria, quello adorabilmente secco ma unico della carta che usciva dall'edicola, il respiro tenero delle pagine sfogliate che sospirano d'inchiostro...erano già le nove e dieci. Meglio pensare in fretta una scusa decente, per motivare il ritardo...ma che importava, in fondo?
Ho guardato il sole nella strada vuota di Hopper, di nuovo. Niente gente, niente fretta, niente scuse.

2 commenti:

Gillipixel ha detto...

Interessanti questi artisti, Vale...Hopper un po' lo conoscevo già, Vettriano invece no...alla fine mi pare di preferire il primo, mi sembra che abbia una visione più profonda del mistero dell'arte...boh :-) grazie però per avermi fatto conoscere anche Vettriano...

Vanessa Valentine ha detto...

De nada!:)))
Vettriano l'ho scoperto "letterariamente", citato da Alexander McCall Smith nei suoi libri a Edimburgo, e per caso... Hopper comunque sembra anche a me un po' più "sostanzioso".
Forse le atmosfere che dipinge, i fari, gli acquerelli così luminosi, non lo so, ma è davvero difficile staccare gli occhi!