martedì 14 gennaio 2014

Di genitori e altre catastrofi




Finisco di leggere "I Melrose" lasciandomi travolgere dalla vita di Patrick, in realtà celante Edward, sventurato figlio di famiglia inglese nobilotta, ricchissima e piuttosto distratta verso la figliolanza. Quattro libri in uno, un bel paccotto di pagine, ma volano via che è un piacere.
Mi manca solo l'ultimo libro, "Lieto fine", aspetterò un po' e poi prenoterò anche quello.
Se vi capita sottomano l'insieme, leggetevelo. Non posso assicurarvi che lo troverete leggero e spassoso (proprio no) però di sicuro vi piacerà da impazzire, perché Edward St Aubyn scrive parecchiotto bene.
Introspettivo, amarissimo, figlio rancoroso (non immotivatamente, stavolta) verso un genitore che vince a braghe calate il titolo di Padre più Bastardo del Creato mentre la madre si alcolizza e tenta di salvare il mondo dimenticandosi che forse, a volte, la propria prole ha qualche piccolo diritto di prelazione che non andrebbe ignorato.
Quel che colpisce, nel libro, è la capacità autodistruttiva del Patrick visto in vari periodi della vita: bambino, giovane, uomo, padre e marito. In molti casi un fallimento come essere umano, lucidissimo nel perseguire la lotta armata verso il passato o la figura genitoriale, determinato a distruggersi per annientare il loro ricordo. E poi amante distratto, marito infantile, padre, questo sì, innamorato dell'intelligenza dei suoi due meravigliosi bambini, occhi severi e analitici che sembrano squadrare il padre dall'alto in basso e, unici, ricondurlo alla vita. Patrick non risparmia al lettore nessun dettaglio della propria anima: la dipendenza dall'eroina, dalle anfetamine, dalla coca o dall'alcol é l'unico momento di affetto che il nostro si concede. Come se la vita fosse una improba, schifosa faticaccia (come del resto è) e lui tentasse disperatamente di trovare la porta sul retro e sgattaiolare via dalla festa. Stupendosi, quasi sempre, di non essere morto, nemmeno stavolta.
Carattere seducente e respingente, il lettore finisce comunque per amarlo, per pietà, per senso di orrore, per amore della speranza.
Ci sono persone sofferte, ma così piene di dolore e paura di vivere che ti verrebbe da prenderle per le spalle e scuoterle, finché non gli cadono tutte le foglie. Odi la loro debolezza, il loro timore della vita. Semplicemente perché è impossibile sentire con le foglie degli altri.
Per fortuna esiste la letteratura, la terapia più efficace, da sempre.
Per chi scrive e per chi legge.
Ti mette al riparo dalle procelle dell'esistenza, diciamo.
E non potrai mai accusare un buon libro di essere un pessimo genitore.

2 commenti:

Gillipixel ha detto...

Acc, Vale, trattasi davvero di super saga coi contro fiocchi :-) anche io mi difendo, in questo periodo: mi sto sbarbando tutti i fratelli Karamazov, nessuno escluso :-)...mi sto accorgendo, nel tempo, che le letture lunghe (purché di qualità, ovvio) sanno regalare soddisfazioni davvero speciali...ti pongono in un diverso rapporto col tempo, richiedono un ascolto non banale, ti fanno viaggiare molto lontano...

Nelle ultime decine di mesi, mi sono gustato Guerra e pace, Anna Karenina, Iliade, Odissea, Don Chisciotte e Il signore degli anelli...ogni volta è stata un'avventura di lettore dalla quale sono uscito arricchito e cambiato...

E ad ogni modo, nel dubbio, chiedere alla Bagigia? :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Ben detto, Gilli, i romanzoni o le saghe sono l'ideale per sviluppare quell'attaccamento fisico che ogni buon libro si merita...come storie d'amore lunghe ed appassionate (o come la messa in onda di "Sentieri", eheh...) :)))))
Spesso mi attacco ad uno scrittore morbosamente, compro tutto di lui o di lei, prendo in biblio tutto quello che trovo e macino, macino...mi sembra l'unica via per scoprire tutto quello che voglio sapere sullo scrittore/ice!:)))))
Buone letture!
Ah, sto per andare in biblio, tra un'oretta...mi hanno messaggiato che è arrivata un'altra infornata da me richiesta...;)))))
Evvai!!!