lunedì 10 novembre 2008

Not so bad

Miei adorati, stamattina mi sono girata su di un fianco. E ho continuato a dormire.
Con la meravigliosa consapevolezza del lunedì mattina a casa dal lavoro, causa salute ancora malferma.
E ho pensato allo sciopero dei trasporti, alla stazione incasinatissima e piena di gente traboccante ira, in ritardo, già distrutta all'inizio della settimana, incapace di sostenere il pensiero delle ore che li separavano dal rientro in seno alla famiglia, come il nostos di Ulisse verso la dolce Itaca (il concetto di viaggio di ritorno mi piace da morire, non so se si è capito, lo cito spesso, mi sembra, mah).
E infatti cosa vi è di più dolce della trapunta che ti avvolge materna, ti giustifica, ti asseconda? Quando sai di poter restare a letto, hai già telefonato al capo con la voce incrinata dalla bronchite e dalla sofferenza, ti sei beccata gli auguri di pronta guarigione, e hai di fronte a te il verde e dolce fianco della collina della vita che ti invita a rotolarti su di essa (ben sapendo che in realtà lo sciroppo cattivissimo e colloso ha sterminato la maggior parte dei germi, e il tuo fisico ha ripreso ad andare a pieno regime, come una giovane locomotiva?).
Insomma, diciamo che sei ancora convalescente, e che non è il caso di rischiare...
Non sia mai che il tutto mi degeneri in una pleurite! (era quello che minacciava sempre mia nonna, quando andavo da lei con i maglioni larghi, e mi diceva "metete na siarpa, te si tuta scoeaccià...", santa donna, quanto mi manca...)
Le mattine a casa dal lavoro sono la terra di nessuno. Ti senti in colpa perché non lavori, ma sotto sotto sadicamente ci godi. Perdi tempo, svuoti la lavastoviglie con lentezza zen, spiumetti con lo swiffer i soprammobili, ciacoli con la Mama per mezz'ora, di niente.
Decidi di mettere in ordine il cassetto del mobile in ingresso, quello pieno di pupazzetti kinder, scontrini e chiavi che non aprono più niente, non ti ricordi più a che servivano. Gli inglesi, dice Beppe Severgnini, li chiamano "one of those drawers", uno di quei cassetti in cui butti la vita quando pensi non ti serva. E in realtà periodicamente andrebbe recuperato tutto quello che c'è dentro, biglietti del cinema, cartoline, numeri di telefono... i misteriosi piccoli elementi che compongono la nostra esistenza, e che a volte smarriamo perché c'è sempre qualcosa di più abbagliante all'orizzonte, come un sole al tramonto, rosa e oro, che ci illude.
Evitiamo accuratamente lo sguardo accusatorio di chi vive con noi, e che è costretto a lavorare, invece, malgrado la salute a sua volta non eccellente.
Ci appelliamo alla debolezza femminile (osteria se fa comodo, alle volte!), e sospiriamo, ohimè, poiché il morbo infido ci costringe sul divano a leggiucchiare Matheson.
In un attimo la sera è arrivata, è già appollaiata sul balcone, spia dentro casa, malevola. Ha con sé un po' di nebbia, se la porta sempre in tasca, per spargerla su di noi appena le voltiamo le spalle. Stasera ci sentiamo così bene che ci concediamo una birra, e scriviamo, e osserviamo la luce delle cose.
Siamo guariti.

5 commenti:

Gillipixel ha detto...

ehehhehe...bello, tenerezza narrativa a profusione...mi è piaciuto un sacco...

Galatea ha detto...

Anche a me!!!

Vanessa Valentine ha detto...

Grazie! Al solito, non so che dire...mi fa davvero piacere! :))))

Unknown ha detto...

ehi vanessa, macchè sensi di colpa perchè non si a lavorare!!! quando uno sta male sta male e basta! ho provato a cercarvi stasera...non eravate in casa ergo...tutti guariti, giusto? bacioni avoi, belli!

Vanessa Valentine ha detto...

In realtà siamo usciti a contagiare con la tossetta i sani... ih ih ih...Mammina, baciotti a te e a tutta la Famigliona!