venerdì 28 maggio 2010

My Goodness - My Guinness







E così, in un mattino che appariva già lievemente soleggiato e foriero di temperature più miti, siamo approdati al magnifico Trinity College, già pieno di disciplinati gruppetti di turisti con ombrellino sgnanfo d'ordinanza, sotto comunque la leggera pioggerella che divide la quota azionaria col timido sole irlandese. Il Trinity mi era stato descritto da un amico dell'università molti anni fa come il paradiso in terra, con biblioteca sterminata, campi da calcio e da rugby, e in effetti è tutto vero. Erba rasatissima, verdissima, angoli di giardino incantevoli ove rannicchiarsi e studiare, tra i fiori. Peccato il fresco. Saltato il tour interno causa mancanza di tempo e soprattutto a causa della frenesia di vedere il maggior numero di cose. Tipo il museo nazionale.
Una cosa che amo di Irlanda e Inghilterra (chissà la Scozia? spero simile) sono i musei gratuiti, tu gli butti un cinque euro nella tecona trasparente e per un pomeriggio vagoli tra le sale rosate, con le volte stuccate, gli specchi e i lampadari, e ti bei di tutti i quadri che vuoi finché non sei stufa morta e ti fanno male i piedi. I pittori irlandesi sono notevoli, da riscoprire. Molti quadri con scogliere, greggi, famigliole in preghiera, un casino di figli, nobildonne con la puzza sotto il naso e gran bei vestiti. E anche tanta miseria, fattore che ha drammaticamente pesato sulla storia d'Irlanda, tanta fame e tanta carestia.
Visto poi che le chiese sono un'altra di quelle cose che ci interessano un fracco, abbiamo fatto anche un salto a San Patrizio, molto bella davvero, un luogo pieno di pace e di morbidezza benché decentrato e immerso in un casino di traffico da paura. All'interno, ogni seggiolina ha un cuscino attaccato per sostenere la estremità soffice o le ginocchia dei fedeli e non provarle più del necessario, e ognuno è diverso! Ricamati a mano, presentano stemmi, scene religiose, faccine, gattini, non ho idea se ognuno abbia la propria sedia e la riconosca dal cuscino, ma è probabile. Idea fichissima, da esportare.
L'erba fuori era morbida come un maglioncino, l'avrei carezzata per sempre.
Ma avendo deciso che era tempo di non indugiare oltre, abbiamo piegato verso la Guinness, fabbricona storica e uno dei luoghi che, credo, offre il maggior indotto d'Irlanda. Anche se in Italia non tutti la bevono, probabilmente preferendo le bionde o le rosse (ma le birre irlandesi, bisogna dirlo, sono ultraterrene tutte) ed essendo in effetti la Guinness un bicchiere di asfalto liquido, non fortissima e non amarissima ma decisamente refreshing (altro che Coca Cola), farsene una pinta autospillata alla fine del tour dimostrativo nelle viscere della fabbrica è un' esperienza che merita il viaggio (e infatti era piena di italiani, spagnoli, portoghesi, francesi...).
Ti fanno immergere le mani nell'orzo, ti fanno sentire lo scrosciare dell'acqua purissima, l'ambiente è ultramoderno e sterminato, pieno di rumori e di luci come un parco divertimenti.
Prima te ne fanno assaggiare mezzo bicchiere, tanto per farti capire se la Guinness ti piace o no, e alla fine di interminabili scale mobili (astenersi sofferenti di vertigini) ti mettono in coda e ti insegnano a spillare la pinta perfetta. Inclinare, tirare una leva, mandarla avanti, quando l'ha fatto il ragazzo addetto alla cosa sembrava tutto chiaro, l'abbiamo fatto noi turisti farlocchi e abbiamo fatto un bordello: troppa birra, troppo poca, troppo gas, insomma un macello. Comunque alla fine ha visto le nostre pinte che erano ben al di sotto dei 70 cl d'ordinanza che dovevamo bere e ci ha praticamente obbligato a rabboccare il bicchiere, e io che gli dicevo, no! va bene così, basta!,e lui che non si è dato pace finché non è stato sicuro che mi sarei ubriacata dalla testa ai piedi.
L'esperienza Guinness a stomaco vuoto è indescrivibile: una arriva in cima, si piazza nella poltroncina con vista su Dublino sotto la pioggia - perché nel frattempo il tempo è peggiorato e il cielo è una lastra grigia e bagnata, i ciottoli giù sotto sbrilluccicano e la gente è un mucchio di formichine infreddolite - e da quella poltroncina si alzerà a fatica mezz'ora dopo, con i neuroni completamente zuppi e smodatamente felici, restando ubriaca per le cinque ore successive (è pur vero che il fegato delle donne smonta l'alcol più lentamente, rispetto a quello dei maschiotti). Ci sono foto indegne della sottoscritta che ride per niente e sorseggia la pinta d'ordinanza con l'aria beata di chi è approdato in paradiso e ha visto che è un pub pieno di gente allegra (foto che naturalmente non metto perché ho ancora un briciolo di dignità). C'è stato anche un pagano che ha abbandonato la pinta piena accanto a me, senza toccarla (lo confesso, attimo di incertezza, mi sarei bevuta anche quella, ma poi probabilmente il ricovero a spese della municipalità dublinese sarebbe stato d'obbligo). Ovunque gente seduta o semisdraiata come lotofagi appagati, se la gente bevesse più Guinness la guerra non si saprebbe nemmeno cos'è.
Su quella terrazza ho assaporato il concetto di felicità, ovvero l'assenza di dolore, piacere, noia e costrizioni, solo un'immensa serenità e la certezza che quando si parla di zen bisogna, necessariamente, includere l'alcol come ingrediente principale. Nelle dosi giuste e stando rigorosamente seduti e fermi, chiaro ( e dove vuoi andare? non ti senti le gambe).
Usciti, francamente non so come, dalla struttura, e passeggiando per la Dublino di negozietti carini ma periferici e quindi un po' miserelli, siamo poi finiti a Temple Bar, per il giretto del venerdì sera, la musica dal vivo e le luci frenetiche. Per ammazzare l'alcol ancora in circolo abbiamo per fortuna scoperto una food hall (in pratica, quelle meraviglie con tutte le cucine dal mondo, e uno può mangiare con dieci euro fino a morirne, se vuole). Quella greca era ottima e abbondante, oltreché quella che chiudeva più tardi di tutte (Iddio benedica i cugini greci). L'Oliver St. John Gogarty è stata la scelta del dopocena, per l'ultima mezza pinta prima della nanna (una rossa leggera, per variare), l'atmosfera casinara e calda è quella solita, pur essendo un posto molto turistico e soprattutto pieno come un uovo. Per stendere del tutto il fisico, la passeggiata lungo il Liffey al tramonto (ma la luce delle sere del nord è davvero infinita e magica), almeno finché le ginocchia non hanno ceduto e il solito bus n. 10 non ci ha riportato all'hotel, in mezzo a sonnolenti irlandesi che tornavano a casa dal lavoro.
Praticamente, svenuta nel letto. Almeno finché il micidiale termosifone non mi ha svegliato nel cuore della notte con i suoi 42° (i termosifoni irlandesi non sono dei perditempo, lo stipendio se lo guadagnano tutto).
E così quella che sarebbe arrivata da lì a poche ore sarebbe stata l'ultima giornata.
E a voi, temo, toccherà subire anche la terza parte...popcorn, ggggelllatti, bagigi, straccaganasse!!!:)

16 commenti:

Gillipixel ha detto...

E per fortuna che ci sarà la terza puntata, Vale :-) prenoto già da ora uno straccaganasse e tre etti di bagigi :-D ahahahhhahahah
Ma dove le tiri fuori? Bellissimi e impagabili i tuoi termini e l'atmosfera che sai ricreare, per ogni argomento che tratti, è una magia :-)
Evviva i pigri, evviva le buone forchette e i pintaioli, evviva chi possiede il "senso della frase" e ne fa dono all'umanità :-) da tutto questo non può derivare che bene e progresso per tutti :-)

Alberto ha detto...

Un altra bellissima lettura.
Che dire, è stato solo due mesi fa che sono tornato dall' Irlanda ma mi hai fatto venire voglia di tornarci di già ;)

Arianna ha detto...

Sono stata cinque anni fa a Dublin e la cosa che mi era piaciuta di più è stato proprio il Trinity College.
Il tempo invece era pessimo, non so come fa la mia amica che si è trasferita lì a viverci..troppo mutevole per i miei gusti e troppo grigio.

Vanessa Valentine ha detto...

Gilli, ti arriverà presto un Traco con quanto da te richiesto...;)))))se non ricordo male, le straccaganasse sono le carrubbe essiccate, quindi sei ancora in tempo per disdire l'ordine, ok?:))))))))
Eeeeehhh, che bel posto sarebbe il mondo se tutti fossero pigri, pintaioli, e buone forchette...il paradiso in terra...magari più tondi ma vuoi mettere la felicità?

Vanessa Valentine ha detto...

Grazie, Alberto, non posso che darti ragione, appena tornati già avevamo voglia di tornare (magari con più caldino). E' un posto davvero bello, cordiale, tranquillo, sbracato e sereno. E' la nazione perfetta per gli accidiosi/debosciosi di tutto il mondo!:)

Vanessa Valentine ha detto...

Ciao, Arianna!:)))che bello risentirti!
Purtroppo è vero, per noi italiani il clima del nord è un po' troppo, per carità, ci si abitua a tutto, ma l'è dura. Il cielo cambia ogni cinque minuti, ma loro non ne sembrano toccati (non sono tipi cupi con poca serotonina in circolo, ecco). Probabilmente il segreto è la Guinness che lubrifica i circuiti e smorza le tensioni, chissà. Qualche studioso ci potrebbe beccare il Nobel, concentrandosi sul problema.:)
Loro, comunque, considerano la birra la cura per tutti i mali, e come dargli torto.

Gillipixel ha detto...

@->Vale: lascia, lascia pure l'ordine alla Traco, Vale :-)
...erano anni che volevo gustarmi le carrube secche :-)

Visir ha detto...

Ma si va...Beviamoci su. :)

Vanessa Valentine ha detto...

O erano castagne secche??...mah, comunque sono una ghiottoneria...;) ordine Traco partito, comunque...:))))))
Blogspot (dovremmo chiamarlo blogghy o spotty;) ) stasera dice recranec, suono scrocchiante come di bagigi e straccaganasse in esplosione!

Vanessa Valentine ha detto...

Unisciti, o Visir, al Grande Club del Bagigio e della Guinness! (Insignito dell'Ordine della Calzamaglia dalla Graziosa Maestà Britannica)...:))))))))))

Visir ha detto...

Mi piace l'idea della calzamaglia mi ricorda i supereroi Marvel.

Personalmente adoro il cosutume di Capitan Ventosa, con quel sontuoso copricapo, la calzamaglia rosa e la mini-mantella plastificata che dona un aplomb molto anglosassone.

Potrei adottare questo costume insieme al grido di guerra: "Essex, Sussex e Wessex", che rimanda sia agli antichi regni sassoni della Brittania che, come assonanza, alla cosa più divertente dopo la Guinness.

Aggiungerei solo al prestigiso costume un maestoso sospensorio Tafazzano con la Royal Cross incisa a mo' di bassorilievo, da colpire selvaggiamente con una lattina di birra vuota nei momenti di pathos e raccogliemento catartico.

Ecco, direi che così paludato mi sentirei acconcio per il nobile convivio.

Ta-ta-tatata!

Anonimo ha detto...

Fuori le foto indegne dell'autrice mbriaca!!

E più bagigi e straccaganasse per tutti!

Vanessa Valentine ha detto...

"...acconcio per il nobile convivio..."
Uah, uah, uah!
'Namo, donne, Visir è da sposare!;))))))))

Vanessa Valentine ha detto...

Giammai, Soglia! Ho ancora un briciolo di dignità (3 gr, più o meno) e, credimi, E' MEGLIO SE LE FOTO DA MBRIACA NON LE METTO.;)
(PS: trattasi di espediente narrativo, come gli scaltri lettori avranno già intuito...l'aspettativa frustrata titilla e tiene sulla corda...la fantasia umana, oh, che propellente...);))))))))))

Visir ha detto...

Grazie Vivì, ma ho già dato.
L'esperienza coniugale, se non altro, mi ha insegnato che come diceva Oscar Wilde: la base del matrimonio è il malinteso reciproco.
Ora, come single di ritorno vivo una maturità dorata, diciamo di circa 16 kt. ;))))

Vanessa Valentine ha detto...

Direi allora, Visir, di goderti la tua libertà a tutto tondo, il che non è affatto male...ti risponderei che il matrimonio è la tomba dell'amore, ma immagino che questo voi tutti, là fuori, lo sappiate già...;))))))