domenica 5 febbraio 2012

Maratona Lebowski (o il settimo giorno Dio creò l'hangover)


Che fine settimana, ragazzi, da betoniera.
Oppure da mixer, per quelli tra di voi che cucinano. Mi sento come un ammasso di bastoncini di carota nel lavello. Un caffè, da solo, sta tentando di tenere insieme i pochi neuroni ancora accesi. Definirmi uno straccio sarebbe già un passo avanti, almeno lo straccio una sua identità ce l'ha.
Tutta colpa di Armando e dei suoi rossi, al solito. Abbiamo inbastito una cena veloce con pasticcio di carne (suo), patate al forno e funghi (miei), salame e sopressa di Poultryville più porchetta come se piovesse, frittole crema e cioccolato. Ci siamo mangiati tutto, ma soprattutto ci siamo bevuti tutto. Compresa sperimentazione finale in stile "isola del Dottor Moreau" tra limoncelli, arancelli, mirto, porto, anima nera. Il colpo di grazia in piena nuca.
A metà notte, ci pareva di avere mangiato un incudine e che la digestione fosse leggermente compromessa. Dolori da parto.
Quando la domenica ti coglie con l'occhio vitreo sul divano, a fissare lo schermo spento e lucido del tuo televisore, quando perfino la gatta osserva la tv e si gira a guardarti come a dire, beh, perché non si vede niente?, meno male che Iris manda in loop (quasi) quel capolavoro infinito che è "Il Grande Lebowski". L'ho visto, rivisto e ter-visto nel giro di due giorni, con in mezzo (ieri) anche un assaggio di "L'uomo che non c'era", altra maraveggia. Ah, i miei fratellini del Minnesota.
Come quando ti innamori, come dopo una notte d'amore particolamente riuscita, mi ricordo la volta del mio "primo" Lebowski. Era una sera d'aprile, avevo addosso la mia gonnellona di tweed e il cappottino '70, quei buffi polacchini nei quali inciampavo sempre...Quando siamo usciti dal cinema (qui c'è veramente un buco, non mi ricordo che cinema era, Corso? Corsino??) eravamo tutti e due consapevoli che un nuovo amore era sbocciato, che un grande classico era entrato nelle vite degli umani e che nulla sarebbe stato più come prima. Dieci anni prima che "Accidia e Deboscio" venisse dato alla luce, un semino piccino picciò era stato piantato nella mia anima tenera e fertile. Una gestazione lenta, serendipica, labirintica.
Bisognerebbe partire da lontano, dalla mia passione di sempre, sfrenata, per i noir americani, per quei bei film dei '40 con il private eye brancolante nel buio, l'ironia chandleriana, il destino, l'espressionismo ispiratore, le donne ragno, gatta et similia con tutto il bestiario, più che belle, voraci, divoratrici, dentate, inquadrature oniriche, tapparelle che lasciano passare poca luce e tutta già prodroma della galera, dell'intrappolamento, della morte. "Il Grande Sonno", "La Fiamma del Peccato" e dozzine e dozzine di titoli che i neuroni al momento stanno cercando in archivio, infruttuosamente, scartabellando furiosi.
Perché i nostri piccoli Coen mettono il noir un po' ovunque, lo piegano, lo legano, come strozzapalloni isterici. Ne fanno ciò che vogliono. "Blood Simple". "Fargo". E' la loro stessa visione della vita ad essere noir, una giostra priva di senso, una trappola fatale, con eroi (ed eroine) che resistono cocciuti con la loro corazza di morale ostinata.
Jeff Bridges, bello, biondo, americanamente leonino si disfa in Jeffrey "Dude" Lebowski, fricchettone paperinesco, angelo hippie di cielo in terra a miracol mostrare, amante del bowling, del White Russian e della maria. Con nel walkman i Creedence Clearwater e il suo tappeto che dà un tono all'ambiente, MacGuffin di tutta la storia, più ancora della fantomatica valigetta con i soldi del riscatto (la storia non la racconto, non serve, non ha senso, chi se ne importa della storia? Sarebbe come dire, chi se ne importa della Vita, della Storia? A noi interessano le Dude-Storie, le Dude-Vite, il resto vale solo per i miliardari noiosi e paralizzati) Lebowski rotola (e a bowling non gioca mai, del resto, lui è la palla) con serafico menefreghismo, sé stesso, sempre. Ed è in un modo che ha pochi eguali. Così pochi che il Dudeismo è diventato una religione e su Lebowski si scrivono libri, si fanno festival in suo onore, verranno composte, penso, financo ballate.
Ci sono commedie che nascono col tocco magico, mix felici, felicissimi, che portano felicità nelle vite comuni, illuminazioni da due watt, pur sempre illuminazioni.
"Il Grande Lebowski" non ti stanchi mai di vederlo, con la sua palla da bowling che rotola seguendo traiettorie studiate o casuali, come tutte le cose perfette è fatto di scienza e di follia. The Dude è l'accidia, l'uscita da sé, il felino qui e ora, il farsi proprio tempo e spazio eppure il tutto con una sua morale, con una sua direzione. Se l'amico Walter (John Goodman, mamma mia) è il reduce del Vietnam, altra vittima sacrificale del Sogno Americano, comicamente minaccioso e cialtrone, Dude è il pacifista cazzaro, la base dell'acido, paraculo al punto giusto (che meraviglia la sua faccia durante il colloquio alla centrale di polizia, quando si becca la tazza in testa..."mi dispiace, non stavo ascoltando", Jeff, tu sei un altro del Bartleby's Club, nespà?), me ne sono innamorata, e ancora adesso quella maglia viola e zozza sotto al cardigan color caffelatte a greche nere più i bermuda drammatici mi smuovono quel frisson animale che sposta il dna da un corpo all'altro.
Il problema è che non puoi diventare Dude se non hai già in te un po' di Dude. Appunto, ci vuole terra grassa e smossa da poco, il concime giusto, la primavera che sboccia in molti ma non in tutti. Quando al cinema vedi qualcuno come te...beh, caspita, è un'epifania. Bang. Una tazza in fronte, appunto. Benefica. Come quando leggo Topolino e vedo Paperino dirigersi verso la sua poltrona preferita, sotto la lampada, con un libro in mano e vederlo dire "chi è più felice di me?", quelli sono i momenti in cui mi è chiaro che è preferibile, sempre, la vita di finzione alla vita reale.
E i dialoghi, nel film. Detti da chiunque altro in qualsiasi altro set o da altri che non siano Bridges, Goodman o Buscemi (dolce piccolo Donny, zittito tutto il film da Walter, spaesato tenero Donny il cui cuore si ferma perché la Vita, con la V maiuscola, è davvero una donna ragno cattiva che ci rosola nella sua bava per poi divorarci tutti) suonerebbero idiotissimi. Nelle loro bocche, sembrano Shakespeare.
E Sam Elliott, lo Straniero, spirito del West con la sua salsapariglia, narratore divin-destinato, e la fiammeggiante Maude Leboswki, ovvero Julianne Moore, pittrice "vaginale", robotica e ipnotica femmina dal caschetto finta bimba (e Javier Bardem non ne sfoggia uno uguale, in "Non è un paese per vecchi"? Nero, però) alla ricerca, pure lei, del semino da piantare, trovandolo in un Lebowski sputazzante White Russian per la sorpresa. Per una volta non donna ragno distruttrice ma tiepida serra e salvifica.
Dude sa aspettare, oh, sì. Il suo tempo è giunto, i profeti lo avevano annunciato.
L'aria è calda al punto giusto, siamo tutti pronti per dedicarci alle cose che contano davvero.
Gli amici, il bagno, il bowling. Quel che ci volete aggiungere, a vostra discrezione.
Illuminami, o Dude, in questo pomeriggio di gelido, elegante sole. Mostrami il tao, il dharma, mostrami la pace. Ricordami quello che già so, perché mi piace troppo quando lo fai.

5 commenti:

Gillipixel ha detto...

Vale, già te l'ho detto in mille fogge complimentesche, ma da oggi è ufficiale: ti adoro!!! :-)
Questa è la più bella recensione mai letta di uno dei film più belli mai visti :-) Sottoscrivo ogni sillaba, che ho centellinato al palato come una pietanza prelibata, ma soprattutto abbondante e genuina :-)

La parte più forte del Drugo, a mio parere, sta nel fatto di essere il mito della smitizzazione :-) è il nume tutelare degli sfaccendati :-) il protettore dei pigri, la giustificazione filosofica di tutte le ronfate pomeridiane sul divano :-)

Grazie, Vale, per questa meraviglia che hai scritto :-)

s|a ha detto...

Gran post, è vero, Il grande Lebowski è uno di quei film che si rivedono regolarmente, e che si rivedono in compagnia. Mi ricordo anch'io la prima volta, e la mia meraviglia con le sequenze acido-oniriche alla Busby Berkeley (allora non sapevo che erano alla Busby Berkeley). Sono uscito col sorriso stampato dal cine. E poi, dalle righe che scrivi, qua, dietro l'accidia e il deboscio si nasconde fine cinefila. Grande vale.

Vanessa Valentine ha detto...

Grazie, Gilli!:)))))pure io ti adoro, come blogger/amico/lebowskiano!
Mi ricordo ancora quello che avevi scritto nel tuo, di post su Dude Lebowski...ne avevi messa, di trippa a cuocere!;))
A detta di molti è il loro film più ruffianamente riuscito, è uno di quei film tipo "A qualcuno piace caldo", un film-coperta, un film-fidanzato, insomma, lo vorresti sempre vicino.
E che colonna sonora.
Quando la metti in macchina e parti, potresti guidare per l'eternità.
Lui è così...perfetto. Ogni mossa che fa è zen puro, diamante caldo, un sole pigro.
Grande.:)))))

Vanessa Valentine ha detto...

Grazie anche a te, Soglia, sapevo che anche tu covavi Dude tra le costole!:)))))))
In un film così trovi tanta roba, ma proprio una fagottata impressionante di idee, rimandi, spunti, citazioni...ti viene male agli occhi a guardare fisso in giro per scoprirle (il poster con Nixon che gioca a bowling?ahahahah):)))))
Bella la cinefilia quando mi fa giocare con tutto e mi fa divertire come un cagnetto con l'osso di gomma...;)
La scena onirica del bowling è strepitosa, la canzone è una di quelle che ti si incidono nella mente e canti a squarciagola in vasca...grandiosa.
Sì, è davvero un film di cui ti innamori.

Vanessa Valentine ha detto...

PS:la traduzione italiana è stata, scopro, molto avversata dai Dudeisti.
Per amor di completezza, va puntualizzato che segnalano corretto "Dude va avanti" e non "Dude sa aspettare".(Abide viene inteso letterariamente come saper aspettare, il Collins mi dice continuare ad accadere o continuare ad esistere, suona meglio in effetti perché fa di Dude un lungo fiume tranquillo che prosegue sempre e comunque. E' lui).;)