martedì 25 novembre 2008

Piedi

Sto ancora cercando di riprendermi dalla giornata di ieri, in verità.
E' molto probabile che il freddo intenso abbia fatto cortocircuitare i miei già sfilacciati neuroni, però è realtà che i miei piedi ieri mattina suggerivano "torna a letto! torna sotto la trapunta!!oooooo (rumore di catene scosse e cigolii), niente di buono ti verrà dall'uscire oggi, con questo cielo cupo e buio, con questo vento...ooooo!"
Dovevo dare retta ai miei pieduzzi. Quando la neve si profila all'orizzonte, con lo zero termico che fa cucù e il cielo blu compatto come una lavatrice di capi bianchi nella quale per errore è finito l'asciugamano che stinge, ovviamente color 
notte tropicale, è tempo di gettare la spugna e di restare a casa. Infatti mettersi in strada per andare al lavoro non ha senso. I bus slittano, il tram si ghiaccia/impantana/è privo di corrente  e va alla velocità di un tostapane fulminato.
Ma la parte migliore deve ancora arrivare!
Sono riuscita a prendere il treno delle 8 per Venezia, dicendomi: fa niente, Repubblica la prenderò a Mestre, non male oggi, il treno ha solo dieci minuti di ritardo. L'ottimista dentro Vanessa, una spensierata fanciullina con le trecce che saltella nel sole con un cestino al braccio paffuto e delicato, fischiettava. E saliva sul treno.
Non so se avete letto dei pendolari bloccati per guasti sulla linea, improvvise morti del locomotore, fughe senza ragione di capotreni e macchinisti, datisi alla macchia nei campi innevati. Beh, tutto questo era lo scenario di ieri.
Il mio sequestro è durato più o meno una quarantina di minuti, appena uscita dalla stazione di Padova. Ma perché se un treno decide di tirare le cuoia lo fa sempre 400 metri appena uscito dalla stazione? Perché non quando siamo lì? O succede in aperta campagna, e tu resti a fissare sbattendo gli occhi vacui la signora anziana che nutre le gallinelle nel cortile di una fattoria, finché non sei sicura che la struttura della casa della suddetta signora ti resterà incisa sulla retina per sempre? Sai perfino come si chiamano le galline, dopo un po'. Ogni tanto la vecchietta controlla se siamo ancora lì e ci saluta. Se potessi scendere dal treno andrei a farmi offrire un vin brulè, giuro. Pagherei, pure.
Ma in fin dei conti, è già un mistero che il Cicap dovrebbe smontare come facciano certi treni a correre giorno dopo giorno, visto che stanno su legati con lo spago. Figurarsi se non vanno in pappa con le condizioni meteo avverse.
E poi i ferrovieri che cantano come canarini denunciando certe cosucce che non quadrano nelle Ferrovie, mistero!, vengono licenziati! Ohibò, ma dell'Azienda non si parla mai male! Questa poi!
Comunque, malgrado i 40 minuti cominciassero a far saltare i tappi a qualcuno (una dottoressa sbraitava circa un "sequestro" - ma allora lo pensavamo in tanti! - perpetrato da FS, lamentando che i suoi pazienti nell'attesa della di lei venuta potevano morire come le mosche), il clima generale era italiano, e cioè disteso, allegro, caciarone e fondamentalmente menefreghista, sullo stile di "non possiamo farci niente, così va l'Italia, 2 cm di neve ed è fatta", tanto che la dottoressa incazzatissima veniva derisa e invitata a rilassarsi.
Cosa alimenta la fiducia italiana? La consapevolezza che le cose funzionano comunque, nel loro splendido, labirintico modo? Che anche se non è ben chiaro il disegno finale, gli arabeschi restano comunque affascinanti? Cosa fa di noi un popolo che anche nelle avversità ci incazziamo un po', tanto per salvare la faccia, ma in fondo sappiamo che tutto si risolverà per il meglio, con il tempo che ci vorrà? Trovo che sia un meraviglioso aspetto zen del mio popolo, ma forse il discorso vale solo per i treni, tanto è una causa persa.
E il treno è ripartito. Siamo arrivati tutti al lavoro con un'ora di ritardo, ma non ho visto facce tristi. Nuove amicizie nate, appuntamenti per un caffè, saluti alla ragazza di Schio che condivideva sedile e avventura. La neve colpevole era lì, bianchetta e pizzosa, come il merletto tarlato che trovi sul fondo dell'armadio di una prozia che è mancata, ma che non hai il coraggio di buttare. Già deprimente, smorta, perdente.
Dove sono le nevicate di un tempo?
E per tutto questo tempo i piedi hanno continuato a rimbrottarmi, anche se erano quelli che stavano meglio di tutti noi, dentro alle calze di lana e alle Puma.
Ingrati.

3 commenti:

Gillipixel ha detto...

:-))))))))))))) bellissimo

farlocca farlocchissima ha detto...

e in fondo ti è andata bene, dato che è passato abbastanza tempo, ormai non ci sono più quelli che attaccano il "pippone" di quando-c'era-lui-i-treni-erano-in-orario :-)

Vanessa Valentine ha detto...

"Pippone" è una parola stupenda! Ma adesso con Re Silvio I penso che i treni marceranno con precisione svizzera... altro che... ;)))))))