lunedì 8 novembre 2010

Un po' di poesia ci vuole

Mammamia, stasera mi sento le gambe tutte gigie, speriamo bene che non mi stia venendo su uno dei quei virus stupidotti, paravirus scemi che ti costringono in branda due-tre giorni, a succhi di frutta e fette biscottate.
Qui i fiumi calano molto lentamente, le acque invadono ancora zone industriali e paesi, la conta dei danni, si sa, fa litigare tutti: i soldi stanziati sembrano pochetti a molti, ci sono fattorie in crisi perché sono morti migliaia e migliaia tra polli, tacchini, tante mucche (troppo pesanti per essere portate via in tempo) e cavalli.
Ha cominciato anche a fare più freddo, e il quadro è davvero desolante. Gli abitanti qua attorno girano già imbacuccati, l'atmosfera è plumbea. Del resto, come si fa a non pensare, poveracci.
L'umore, anche quello di chi scrive, non sfavilla.
Nella vita ci sono anche i momenti di rabbia e scoramento, si sa. Tocca metterli in conto.
Poi però mi viene in mente qualche canzone, tipo "Over the rainbow", oppure "Blue Skies" e non lo so, ma sento come un frissoncino, una piccola porzione di anima che si stiracchia e sbadiglia e dice embè?, e mi ricordo anche di questa incredibile poesia, bellissima, come tutte le sorelline che insieme a lei sonnecchiano tra le pagine del mio vecchio "Antologia di Spoon River", regalo del mio papà per un Natale verso la metà degli anni '80...
Può anche essere che io l'abbia già riportata, se così fosse tirate dritti per la vostra via, viandanti.;)

Lucinda Matlock

Andavo ai balli di Chandlerville,
e giocavo alle carte a Winchester.
Una volta cambiammo cavalieri, tornando a casa in carrozza col chiarore di luna
di metà giugno,
e così trovai Davis.
Ci sposammo e vivemmo insieme settant'anni,
godendo, lavorando, allevando i dodici figli,
otto dei quali ci morirono
prima che avessi sessant'anni.
Filavo, tessevo, tenevo la casa, curavo i malati,
coltivavo il giardino, e per una vacanza
vagavo per i campi dove cantavano le allodole,
e presso lo Spoon raccoglievo tante conchiglie,
e tanti fiori e tante erbe medicinali -
gridando alle colline boscose, cantando alle verdi vallate.
A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto,
e passai a un dolce riposo.
Cos'è questo che sento di dolore e stanchezza,
collera, scontento e speranze vacillanti?
Figli e figlie degeneri,
la Vita è troppo forte per voi -
ci vuole vita per amare la Vita.


Caspita, ogni volta che leggo questa poesia mi sento meglio, mi girano le scatole e mi sento meglio. Davvero.
Anche perché mi ricorda la mia guerriera nonna, che ci ha lasciato qualche anno fa (battendo per età anche Lucinda) e naturalmente sappiamo tutti che in realtà lei è ancora qui con noi, da qualche parte, e vorrebbe tanto dirci di coprirci bene, perché siamo troppo scollate, e ci prenderemo un accidente, di sicuro.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Che curioso (o anche, "fataità", come si dice da queste parti), qualcuno ha tirato fuori Spoon River per questo mio recente post (scusa se mi cito, ma le assonanze casuali mi piacciono sempre):
http://sogliadiattenzione.wordpress.com/2010/10/29/richi/
Sempre bello passar di qua.

Arianna ha detto...

Che bella questa poesa Vale, grazie.

Gillipixel ha detto...

Fantastico, Vale!!! :-) I tuoi brani sono come le carezze felpate di un gatto :-) Dovrebbero essere venduti in farmacia come specialità da banco "infondi-fiducia-vitale" :-)

Inoltre, propongo qui ufficialmente all'Unesco di dichiarare l'aggettivo "gigio", patrimonio mondiale culturale-affettivo dell'umanità :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Grazie, Soglia! (e i tuoi commenti sono sempre graditissimi!) :)
Leggo il tuo blog anche se non lascio spesso commenti - a causa sempre del tempo tiranno...ehm ehm... - ed è molto piacevole e divertente.
Il post che citi era molto bello anche se triste, concordo nel pensare che la morte dovrebbe lasciare in pace le persone miti, buone e gentili, e andare a fare il suo mestiere altrove...purtroppo, però, le cose vanno diversamente. L'unica consolazione che ci resta è il ricordo della bontà delle persone che abbiamo perso, anche delle conoscenze occasionali (ma se una persona entra nella tua vita, anche per poco, non va più via, si sa).
Bellissima anche la poesia che hai riportato tu, la poesia è una delle poche cose che aiutano a scendere a patti con la Nera Signora. Più o meno.

Vanessa Valentine ha detto...

Grazie, Arianna, sei un tesoro!:))))
Dentro "Antologia di Spoon River" ci sono tantissime emozioni, a distanza di anni lo leggo e lo rileggo e trovo sempre stimoli nuovi, le parole scritte sulle lapidi sono voci vibranti di dolore, amore, passione, sofferenza, odio...non diresti mai che sono voci di defunti, sono così vivide.
Beh, è il pregio dei classici, non invecchiare mai...:))))
Un baciotto e un abbracciotto!

Vanessa Valentine ha detto...

Ahahahah, Gilli, ma "gigio" è un aggettivo ben noto in terra veneta (infatti credo che la gamba gigia in realtà sia la gamba magagnata, quella che quando cambia il tempo fa male...però io delle parole faccio quel che voglio, com'è giusto, e anche più divertente...) ;)))
Spoon River, pur essendo un libro non allegrissimo, ne convengo, è capace di dare la grinta giusta in un sacco di occasioni (essendoci dentro tutto lo scibile delle emozioni umane, uno può sempre trovare il mood che fa al caso suo).
Ce ne sono certe che mi fanno piangere sempre, anche alla cinquantesima lettura...
Sono una vecchiaccia sentimentale!:)