venerdì 22 luglio 2011

Piccoli esperimenti di sociologia

Siamo seduti nella sala di un cinema, come ce ne sono tanti, in giro per il mondo.
Uno di quei mostruosi multisala high-tech che dieci anni fa brillava per modernità e comfort e adesso si sta avviando verso un gramo tramonto finanziario (dopo aver fatto chiudere tutti i fascinosi vecchi cinema del centro, quando ci andavi a piedi e poi riuscivi a farti l'ultima birra nel baretto all'angolo. Bei tempi).
Le poltrone bordò hanno i braccioli lisi, sono costellate da sputazze di ciunga vecchie di un paio di lustri, la gente non è in grado di mangiare i barilotti di popcorn senza prima averlo occultato tra seduta e schienale, è tutto un biancore oleoso e granuloso che ti si attacca ai pantaloni.
Il film è l'ultimo di Harry Potter (ebbene sì, sparatemi se vi va, ho letto tutti i libri e ho visto tutti i film, quello di Cuaròn, il terzo, quattro volte, ho sempre sognato di essere una streghetta. Ognuno ha le sue debolezze).
Comunque del film si parlerà un'altra volta (ma anche no, dice la solita voce dal fondo. Come biasimarla).
Insomma, siamo lì seduti e il ragazzo dei biglietti ci ha schiaffati nella fila Q, in alto, nei primi due posti da destra. Facciamo il solito numero alla Aldo Giovanni e Giacomo sul cambio di posto con la sottoscritta che inizia ad avere le crisi di panico da cambio, appunto di posto (oddio, e se cambio e poi arriva il tizio che ha davvero quel posto di diritto, che figura, tremendo, no no, stiamo qua) e la sala è vuota...a volte mi faccio qualche para, eh beh sì.
A me piacciono i cinema vuoti, se mi gusto il film sola come un cane è il paradiso, ad altri fa angoscia. Mi è capitato di stare in una sala deserta e ancora me lo ricordo come un'esperienza fantastica, più che il film mi ricordo la sensazione di leggerezza e libertà, il dominio assoluto su spazio e tempo che sentivo.
Stavolta invece la sala comincia a farsi pienotta, arriva una coppietta sui trent'anni che dovendo passare sopra ai nostri fettoni ovviamente chiede permesso, e noi tiriamo su le ginocchia a molla, oplà. Dopodiché inizia una processione di ventenni (capelli gellati, camicette a quadretti ciucciate e jeans tagliati al ginocchio, da cui deduco l'età) che parlottano tra di loro, messaggiano e scherzano, mettendosi alla mia destra, all'imbocco della fila. E restano là in piedi come i corazzieri quando Crozza fa Napolitano, io non li guardo ma so quello che vogliono. Solo che non lo dicono. Il primo lo faccio passare spostando le gambe, poi commento "non ho sentito la parolina magica". Alla spicciolata si fanno vivi tutti e decidiamo di stare a vedere chi per primo dirà "scusi" o permesso". Anche "scusa" è ok, apprezzo l'intenzione.
Passano tutti perché ormai siamo rattrappiti come ottantenni, porgono terga, pacchi o femori - peggio, pure più larghi!- e nessuno apre bocca.
La prima parte dell'esperimento non ha dato buoni frutti, i ventenni se ti devono passare davanti non chiedono niente, si approssimano pericolosamente al tuo spazio personale (grosso rischio in natura! l'animale si innervosisce parecchio, agli umani girano le balle) come se fossero ancora piccoli e non grandi e pericolosi. E' chiaro che c'è una falla educativa.
Metto in atto la seconda parte dell'esperimento.
Visto che cedere il territorio per una forma di patto sociale, non aggressivi, cortesi e accomodanti non ha dato gli interessanti frutti auspicati, mi sbraco sulla poltrona, gambe larghe, ginocchia che sbattono contro il sedile e assumo un'aria annoiata, sguardo fisso sullo schermo bianco.
Pronto, si presenta l'ennesimo ventenne che, statico al mio fianco come la dolomite, attende tre secondi dopodiché fa "permesso".
Bingo!
Il giovane medio chiede permesso non perché l'educazione genitoriale glielo ha imposto come forma di collante sociale (si è educati perché è così che si fa, dicevano i genitori di una volta) ma diviene educato perché vi è costretto dalle circostanze. A malincuore. Non sussurra uno "scusi", e perché mai dovrebbe scusarsi? Non ha colpe. Il suo "permesso" viene scandito con un tono da lesa maestà, intendendo "sema, non vedi che devo passare?". Tutto questo lo sento a livello di epidermide, ovvio. Magari sto forzando. Gli esperimenti mi gasano.
Quando sei stata tirata su da due genitori all'antica, e se non salutavi ti annichilivano finché alla vecchia signora non solo porgevi gli ossequi ma eri anche disposta ad andare a tenerle la lana quando filava, purché la tortura cessasse, e se alzavi la voce ti fulminavano con lo sguardo, e se avevi fame alle 11.30 col cacchio che tu madre ti apriva la merendina alla cassa, la fame te la tenevi, e così la sete e la pipì e qualcos'altro. Tutto questo fa spalancare d'orrore gli occhi di molti (ma così il bambino cresce male!), d'altro canto insegna fin da piccoli a sopportare le magagne e le rotture che la vita ti sbatte sul naso. Chiedi permesso!, diceva imperiosamente mia madre frustandomi con i suoi bellissimi e furibondi occhi grigi (probabilmente stanca e affamata a sua volta) e io, di fronte ad un muro di carne adulta, chiedevo gentilmente permesso. Educata, cortese, sorridente sempre, morbida, sgusciante, la cortesia che diventa una corazza contro tutte le ossa, gli spigoli e le crudeltà.
Perché essere gentile mi avrà fatto passare per una cagasotto ingenua, alle volte, ma mi ha procurato anche vantaggi. Ho conquistato l'amicizia e l'affetto delle persone, così. E non l'ho fatto perché era una forzatura, ma perché l'educazione mi aveva offerto un'indole comoda, che mi piaceva, che mi vestiva bene. E mi va ancora bene, addosso.
Sono gentile ed educata perché mi fa stare bene e rende serene le persone attorno. La mia cortesia è una droga leggera che coltivo da sempre.
Incontro ragazzi educatissimi, che ammiro. Ne incontro altri, stronzoni integrali.
Io ieri sera sostenevo che se i tuoi non ti insegnano l'educazione, da grande sarà troppo tardi. I risultati sono spesso in cronaca.
La controparte sosteneva che quando sei grande le cose te le devi imparare da solo. Sì, se ci arrivi, però. Se uno pensa che chiedere permesso sia da deboli e chiedere scusa da pirla, ecco, direi che ormai la frittata è fatta.
Educare è limitare, lo so. E' essere cattivi con le creature che ami di più, che vorresti proteggere sorattutto dal male che gli fai tu (che pensi di fargli). Dirgli no, basta, piantala e sei in castigo è un male temporaneo che eviterà mali peggiori.
Pensate al ragazzo che un pomeriggio mi si è tatuato sulla schiena, in autobus.
Doveva scendere. Io ero sulla sua strada. Si è pericolosamente avvicinato ad un essere umano senza che questo avesse autorizzato contiguità di amicizia, di dialogo, sessuale.
Gli ho sibilato "impara a chiedere permesso", affatto gentile, affatto cortese.
Lui non ha aperto bocca, troppo piccolo ancora per girare il mondo.
Educare è anche far crescere le persone.
O a vent'anni penseranno ancora di averne cinque.
Per una volta, non sono ottimista.

4 commenti:

Gillipixel ha detto...

A volte mi soffermo anche io a considerare "i gggiovani" di oggi, Vale, e mi sembrano dei marziani :-) sembrano passate ottanta generazioni, invece che pochi anni...è il modo di vedere la vita che è cambiato così in fretta, ci sono state più novità in pochi decenni che in tanti secoli prima :-) ma poi vedo anche tanti ragazzi che sono come i ragazzi sono stati da che mondo è mondo :-) mi sembra che ci siano certe caratteristiche che sono innate, certe buone qualità che si sviluppano al di là dell'educazione ricevuta...fermo restando che questa rimane fondamentale, non dico di no...ma insomma, forse sarò un ingenuo, però sono convinto che dove c'è del buono, alla fine salta fuori...

I tuoi esperimenti di sociologia sono molto interessanti :-) aspetto la recensione del film...anche se harry potter non mi garba granchè, so che raccontato da te sarà sempre simpatico e divertente :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Non so quanto divertente verrà fuori la "recinzione" (alla Palomba) dell'ultimo H. Potter...è un cupume senza fine, comunque ne parlerò (con i miei tempi, tranquillo Gilli).;))))))
Riguardo ai ragazzi e all'educazione, eeeehhh, è un tasto dolente e complesso.
Sono una vecchia babbiona, poco da fare.
Ci sono ragazzi che abbraccerei perché sono buoni e ingenuotti ed educati, il grosso è tracotante, indifferente, spinoso. E' probabilmente una forma di difesa, è anche vero che tutti risentiamo di questo imperioso modaiolo narcisismo che mette tutti su di un traballante ed affollato piedistallo.
Vero che divento una ringhiosa arpia su certi argomenti?:))))))

Gillipixel ha detto...

Ma no, Vale, non credo sia questione di essere ringhiosi o arpiosi :-) è solo la legge del tempo :-) alle generazioni più attempatelle stanno sugli zebedei quelle nuove :-) è giusto che sia così, credo...

Per esempio, ieri, appena dopo aver commentato con sommo equilibrio ed apparente distacco il tuo articolo, sono andato in città, e guidando su un vialone, mi sono ritrovato a farmi la barba alla targa un drappello di sbarbatelli in motorino, con rischio tamponamento assoluto :-)...quale credi che sia stata la mia considerazione spontanea? "...Gioventù di m...da...", ho pensato Coliandreggiando fra me e me :-)

Non c'è niente da fare, è la legge del tempo...in fondo, gli vogliamo bene, ma è anche giusto che ci stiano un po' sui maroni :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Come sei saggio, o Gilli!:))))))))
Direi che questo è l'atteggiamento giusto, in fin dei conti loro pensano di sapere tutto e noi sappiamo che non sanno niente, a nostra volta presi per i fondelli dai sessantenni...è il cerchio della vita!:)))))))
Di certi ragazzi comunque mi piace la freschezza diretta, sono anche molto buffi, a volte. Come se si prendessero in giro e già sapessero che è sempre stato così e sempre sarà...sono saggi, a modo loro!
Mi raccomando, non tirarne sotto nessuno!;)))))))
(e pensa che oggi ho postato un commento sul tuo ultimo articolo e spotty, ovviamente, se l'è pappato...dimmi te se non sarebbe da tirarlo sotto con la macchina...):)))))