venerdì 27 aprile 2012

E si fa avanti di nuovo l'oltraggiosa primavera

Il caldone avanza: la macchina è un forno, parcheggiata nello spiazzo dietro alle poste (troppo il terrore, ad uscire dal parcheggio riservato ai docenti...bambini delle elementari che come schegge impazzite elettronano a caso dietro alla mia Ibiza in manovra. Meglio non rischiare).
Tiro fuori a casaccio magliette carine dall'armadio, al mattino, sempre più leggere. I maglioni ammutoliscono, si sentono improvvisamente inutili, cadono in depressione, languono nel cestone della biancheria, ingombranti come vecchi fidanzati imbranati.
La fame aumenta, dopo il periodo di magra pasquale, anche col leggero mal di gola di questi giorni (sistema immunitario in crisi, i piccini sono bombe batteriologiche, specie al ritorno dalla gita di tre giorni, tutti malati). Tossicchio e bofonchio, fastidioso tenere le lezioni. Il cervello fumiga lento, pigro, ondeggia come gli stropicciati papaveri lungo le siepi. Papaveri ad aprile!, Mio Dio, mai visto, quando andavo alle medie io. Effetto serra, poco ma sicuro.
Tra l'altro, altra ricorrenza. Chernobyl.
Ero al ginnasio, giornate minacciose di sole atomico, tutti molto spaventati ma tracotanti, insalate estirpate e distrutte, sensazione di un mondo che non ci apparteneva più così tanto, che ci si rivoltava contro.
Eppure, capaci di fregarcene di tutto e di tutti, come soltanto puoi fare a quattordici, quindici anni. Bestioline tutto istinto e zero cervello.
Passo i pomeriggi a giocare con Bagigia, lei mi aspetta sulla scala mentre lavo i piatti.
Poi, appena mi sfilo il grembiule, schizza al piano di sopra, brgnaooo, brgnaoaoao. Ai piedi del divano arancione, nel suo regno, la piccola sfinge protestante mi aspetta, le zampette ripiegate, zen e incavolata come un piccolo Buddha peloso. Gli occhi verdi socchiusi, metà adoranti, metà rimproveranti.
Guardo con desiderio e cupidigia i miei sandali nuovi, tacco dieci, verde smeraldo e cuoio, col fiocchetto: così da femmina, così sexy, così maledettamente instabili, il sedere contratto da gheparda mi fa traballare, ma vuoi mettere? Bell'acquisto, mi dico.
Sprofondo nel divano morbido, Repubblica finalmente tra le dita, la pila di libri, Von Arnim, Bolano, Woolf, Ammaniti tra tappeto, tavolino e divano. Pile infinite di libri.
 Sono tutti là ad aspettarmi, sornioni come un gatto, al contrario di Bagigia non mi rimproverano, anzi, la carta si solleva leggera ad accarezzarmi le dita, il fruscio, come sempre, mi accarezza il viso.
Il sole, là fuori, è un saluto rosa e moribondo, la sera pittura di bisbigli la casa di fronte, la biancheria asciuga, tremola, secca in pieghe strane. Tanto non stiro mai.
Come sarà triste lasciare la vita, i mattoni caldi, il vento delicato, i gatti pazienti, i sandali nuovi e i libri infiniti.
Come sarà desolantemente ingiusto.

3 commenti:

Gillipixel ha detto...

Vale, i bambini che "elettronano a caso" è geniale!!! :-) e anche tutto questo tuo scritto è molto bello...alla fine mette un po' malinconia, ma né più né meno di quanto faccia la vita stessa :-)

Ci tocca fare continuamente i conti con questo senso pervasivo di caducità, e nei pochi attimi che lo scordiamo, è perché ci prendiamo il lusso di prenderci in giro da soli oppure, di dire: spetta un attimo, per due minuti facci finta che non sia vero...ma alla fine, è solo un blando auto-inganno fatto a fin di bene :-)

Grazie per le cose belle che scrivi sempre, fanno bene all'animo :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Eh, sì, Gilli, la vita in fin dei conti è bella proprio perché "a tempo"...e non tutti vogliono pensarci.
Cerchiamo di imbrigliarla in chiuse e dighe, senza successo.
Ma la felicità, quella vera, un attimo, è davvero tutta in un raggio di sole che illumina i mattoni.
E' bello anche essere malinconici, me lo dico da sempre.
E' utile, anche.:)))))

Visir ha detto...

Se mai un Dio volesse punire un'anima di qualche misfatto e così, con severità impietosa, insegnargli il valore delle cose sacre penso che la condannerebbe alla vita.

Personalmente non ho paura di morire, anzi la vera tragedia è che non mi accade ancora.
Riflettiamo onestamente su questo, tanto per farsi due risate.

Possiamo vedere tutto dalla prigione di carne in cui siamo confinati, ma non possiamo trattenere nulla. Un vero supplizio di Tantalo.
Costruiamo le nostre aspirazioni con fatiche infernali sapendo che tutto sarà distrutto e quando accade ricominciamo, una vera pena di Sisifo.
Il prezzo della conoscenza è sempre la sofferenza come non sentirci accomunati con il destino di Prometeo.

Gli antichi avevano già capito tutto, ma dobbiamo accorgercene da noi stessi per comprenderlo.

L'incertezza dei rapporti umani, la caducità della esistenza, il silenzio assordate dell’incomunicabilità non ci parla dunque?
Aspetto di scontare questa condanna, ogni tanto brindo alla mia idiozia insieme a quella di altri e in questa gioia fuggevole trovo un po' di oblio.
Una semplice “ora d’aria” che mi suggerisce cosa mi aspetta dopo l’espiazione di questa condanna inconsapevole.
Poi, finalmente libero dal peso dell'ego farò ritorno all'indifferenziato, non c'è altro conforto di questa abbagliante, spietata amorevole realtà.

Invece di piagnucolare come la maggioranza dei miei simili il mio vagito alla morte sarà una risata e metterò così un sigillo d’oro a questa follia.

"Principio degli esseri è l'infinito...da dove, infatti, gli esseri hanno origine, lì hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo". Anassimandro