giovedì 8 ottobre 2009

Bastardi dentro, fuori e tutt'intorno

Usciamo dal cinema e dalla visione di "Bastardi senza gloria" di Tarantino con gli occhietti che ancora ci scintillano di stelline e meraviglia. Che bel film, osteria!
Ti tiene col sedere sulla poltrona per due ore e mezza e nemmeno ti accorgi del tempo che passa, primo; poi, alterna ai suoi dialoghi famosi, chandleriani per finezza e cinismo, scene comicissime seguite a rotta di collo dalle mattanze coreografiche alle quali siamo abituati, che un po' desideriamo e un po' temiamo (mi stomacherà? mi impressionerà?, beh, no, però il ragazzo accanto a me al cinema ha chiuso gli occhi e ridendo ha detto urgh!, in un paio di scene...mammoletta).:)
La trama, in breve.
I nazisti imperversano con le loro nefandezze in lungo ed in largo nei '40, così un tipo americano e vispo con sangue apache nelle vene, il baffuto Brad Pitt, mette su un gruppetto di soldati di origine ebraica con lo scopo di far fuori il maggior numero di nazisti, possibilmente nella maniera più efferata possibile. Troveranno sulla loro strada il "cacciatore di ebrei" (pre-nemesi di quelli che andranno a caccia dei transfughi tedeschi in Argentina e dintorni) che a sua volta incrocia il suo destino con la ragazza unica scampata all'eccidio dei familiari che ripara a Parigi e gliela giura.
Tarantino mette in scena il suo mondo, calandosi in una realtà che è stata tra i più funesti incubi della storia. E come può far sì, quindi, che un male così grande possa venire esorcizzato, senza citare i campi di concentramento? La prima scena, con il lunghissimo dialogo tra l'ufficiale Landa, detective privato scovapersone al soldo del Fuhrer, di soave crudeltà, gentile come i serial killer psicotici soltanto possono, è tesissima: il contadino francese protegge invano i suoi vicini ebrei che simbolicamente rappresentano tutto un popolo sterminato. Ma Landa sa già che le persone sono nascoste sotto il pavimento, e il suo è solo teatro che mette in scena per sé stesso (è uno, quindi, degli alter ego registici che Tarantino dissemina all'interno della trama). Landa dirige, si prende tutta la scena, e se fa fuggire la ragazza, pur potendole sparare alle spalle, è solo perché a riacchiapparla il maledetto si divertirà molto di più.
I "Bastardi" intanto, nella progressione narrativa, fanno carriera ma non fanno prigionieri. Tendono imboscate e scalpano via la chioma ai nazisti uccisi (Aldo Raine/Pitt ne pretende almeno cento da ognuno di loro), e la loro fosca leggenda prende a inquietare lo stesso Hitler, un pupazzetto isterico e baffetto, incapace di fronteggiare la situazione. Come un anticorpo furibondo, i Bastardi e tra loro quello che viene chiamato l'Orso Ebreo, il quale dà prova di una personalissima e gustosa reinterpretazione del baseball sfondando con una mazza le teste dei malcapitati di turno, mettono in scena la loro personale regia (Brad Pitt è un Tarantino che assiste sornione al massacro mangiando e applaudendo, l'Orso è il regista Eli Roth, sanguinario ideatore di "Hostel", celebre film squartattori). I suoi occhi profondi, vellutati e pazzoidi sono la fine del mondo. Al soldato che viene lasciato in vita per andare a mettere un po' di informazioni e pepe nella vita del Fuhrer, Aldo incide una svastica sulla fronte perché "la divisa finirai col togliertela, e questo non ci piace". Chi ha accettato e compiuto l'abominio porti su di sé il marchio infamante per sempre. Questo pareggia il conto con i numeri marchiati su persone innocenti, sterminate.
La ragazza fuggita, nel frattempo, ha cambiato nome ed è proprietaria di un cinema a Parigi, che mette in cartellone solo film che ai nazi garbano: ha una storia col suo proiezionista, un ragazzo di colore, ma un giorno ha la sventura di piacere al ciccioso soldato che si è reso famoso nell'impresa di cecchinare un intero paese e che per questo si è visto eternare nel film di Goebbels "Orgoglio di una nazione" (girato da Eli Roth). Il soldatino prende una tranvata micidiale per la biondina e fa il diavolo a quattro per far sì che la premiere del film si tenga nel cinemino della sua bella. Così, la fa prelevare e la porta a pranzo con gli alti papaveri, e qui alla ragazza a sentire che in quella serata ci saranno tutti i nazi che contano,
viene in mente un piano. Altra messa in scena, altra regia. Visto che ha reincrociato l'odiato Landa, pensa che chiuderli tutti dentro durante la proiezione e dar fuoco a una catasta di bobine al nitrato d'argento, infiammabilissime e letali, sia un'idea strepitosa. E così si farà. Quindi fa buon viso a cattivo gioco, e allestisce la sua scena.
Gli inglesi intanto non stanno con le mani in mano è mandano in Germania uno 007 fico e raffinato come il miglior Sean Connery. Lì l'aggancio è una famosa attrice, amica di ufficiali tedeschi. Il piano si chiama "Kino", cinema, e prevede l'uccisione dei capi nazi sempre durante la premiere, fine della guerra, si volta pagina. L'appuntamento è in una cupa taverna, la regia è della bionda e bella attrice, gli esiti imprevisti, nefasti. Niente va come dovrebbe andare, e Raine interviene, sostituendosi agli inglesi e andando in scena nelle vesti di un attore siciliano, accompagnando l'attrice con due Bastardi ben imbottiti di tritolo (nel frattempo si scopre che il Fuhrer sarà della partita). E qui bisogna dire che la regia primaria, quella tarantiniana, si mostra in tutta la sua potenza: che scena meravigliosa la preparazione della ragazza, i suoi colori di guerra, indiani, il suo abito rosso, il vetro del rosone che incornicia il suo riflesso splendido e triste. Una dolce Lady Vendetta, che scende le scale inquadrata dall'alto, con Bowie che canta e la pistola nella borsetta, dark lady senza un domani. E' solo l'inizio della sua regia, perché anche lei ha girato un film, e lo ha inserito nel tronfio "Orgoglio". Un letale j'accuse in pura salsa espressionista, il suo volto gigante, fatto della stessa sostanza dei sogni che ghiaccerà il sangue nelle vene di una folla allo sbando, inseguendola mentre viene decimata, punendone la disumanità, deridendone la morte, dissacrandone i corpi. In un olocausto di fuoco, la pellicola dona la giustizia che tutti vorrebbero.
Tarantino ha fatto in modo che il cinema, l'unica verità che lui riconosca, cambi la Storia, metta i puntini al posto giusto.
Ricordare le citazioni, o le ispirazioni di cui il film è pieno come un uovo è difficile: diciamo allora che ognuno ci vede quello che sa, o preferisce. A me è piaciuta l'inquadratura della ragazza che legge da sola nel caffè, prima di venire ancora una volta ammorbata dal soldatino che cerca di fare il brillantone: seduta lì, col basco e la sigarettina sembra una ragazza di Godard, già negli spensierati '60, a cambiare il mondo, e l'incubo è ormai lontano. Poi entrano in campo le divise...
E se appunto i vertici nazi sono da parodia, l'ufficiale che da il via al bailamme nella taverna salta fuori all'improvviso, nascosto in un angolo buio, e sta leggendo. Ma come, i libri loro non li bruciavano? E questo invece è un esperto di dialettologia. E' il male peggiore, quello che nasce dalla distorsione del talento e dell'intelligenza, le forze che dovrebbero creare e fare del bene, e non distruggere. E meno male che un soldato nazista che verrà arruolato dai Bastardi perché "non potevano lasciarselo scappare" ha iniziato a farli fuori per conto suo portandosi avanti col lavoro (riesce a farne fuori 13, uno strozzandolo ficcandogli un pugno in gola...l'attore ha una faccia comica unica, feroce e inespressiva, un Buster Keaton sotto steroidi).
Un grande momento comico è anche quello con Eli Roth che va a richiamare il compare seduto tra le fila immerso nella proiezione di quella fantozziana boiata pazzesca che è "Orgoglio di una nazione" e costui gli dice, a segni "ma sto guardando il film!". Grandioso, è pieno di tritolo fino alle orecchie, sta per morire, ma al cinema non rinuncia.
E poi il film finisce, con altre messe in scena e colpi di teatro, e tutto sembra prendere una piega politica e sensata. Però il coraggioso, stolido, folle Aldo Raine dona una piega inaspettata, ancora una volta, alla vicenda: trova il modo di punire comunque il male crudele che si illude di essere sveglio ma invece è tutt'altro, perché c'è sempre qualcuno più sveglio, più cattivo e più matto di te. E se alla prima svastica incisa sulla fronte Raine/Tarantino diceva "sto cominciando a diventare bravo", l'ultima che la macchina ci mostra, vicinissima, splatterosa, con tanto di sangue e lembi di pelle che si squadernano lo costringe a dire, maledetto figlio di una splendida buona donna, "credo che questo sia il mio capolavoro". Sguardo in macchina, verso il basso, verso noi spettatori.
Mi sa che ha davvero ragione, il bastardo.

4 commenti:

Visir ha detto...

Davvero ben descritto.
Resto affascinato dal pensiero di come un certo tipo di violenza (in questo caso filmica e teatrale) faccia presa nel profondo.
Può accadere che, superato il disgusto, la riprovazione morale, i buoni sentimenti, non si possa essere immuni da una sorta di malia.
In questo caso la finzione del film ci mette al riparo da qualunque inibizione, permettendoci di lasciarci andare allo spettacolo. In realtà è solo un inganno che si fa a se stessi per consentirci di assistere a ciò che ci piace senza doversi giudicare.
Si esercita così un'attrazione atavica per la forza, per l'azione scevra dal rimorso e dalla morale, una situazione tanto diversa dalla nostra vita ordinaria cui siamo costantemente repressi da convenzioni, regole, leggi e sensi di colpa.
Questi protagonisti appaiono liberi nella loro decisione, e non solo da ogni legalità e remora, ma liberi anche di esercitare quella forza immane che appartiene ad una mente senza freni e completamente determinata alla realizzazione di un obiettivo.
Una mente affrancata infine dal senso di responsabilità generato dal dubbio della giustezza delle proprie azioni e dalle conseguenze.
Questo ci indica come nell'uomo la mancanza di un dubbio generi una capacità di azione enorme che parimenti può portare, se indirizzata per fini malvagi a delle catastrofi, se indirizzata per scopi umanitari addirittura alla santità.
Si spiega così il successo che suscitano le ricostruzioni documentaristiche e non, di quella storia reale (purtroppo) cui è stato protagonista il nazismo o nel particolare le vicende di criminali e assassini. Di contro anche il fascino delle storie di uomini straordinari per umanità, altruismo e spirito sociale e religioso.
Siamo attratti come falene dal fuoco che esercita la forza, una determinazione lo ripeto che non potrebbe essere attuata senza prima liberarsi dal dubbio. Tutti però sappiamo che la mancanza di dubbi è sinonimo di pazzia.
Così l’uomo non può fare a meno, come un funambolo, di avanzare sul filo sotteso fra questa forza e questa follia.

Vanessa Valentine ha detto...

Tutti noi sentiamo la profonda attrazione per il sangue, Visir. E' nella nostra natura animale. C'è chi l'avverte meno, chi la censura del tutto, ma bene o male andiamo a ravanarci col naso, almeno per vedere fino a che punto riusciamo a spingere i nostri confini interiori.
Non so dirti se c'entri la morale (siamo tutti consapevoli che dovendo salvare la nostra pelle o quella di un tizio che ci vuole sfarinare le costole con un coltello, beh, meglio che il trapasso sia il suo, anche se poi a compiere effettivamente l'azione ce ne corre), di sicuro c'entra la libera scelta che facciamo di rispettare gli altri e di non nuocergli, perché è conveniente e naturale. In realtà rispetto molto di più i presunti deboli dei presunti forti, e l'aggressività è, per me, un chiaro segno di sconfitta incipiente. Non sento il bisogno di combattere, ma non significa che io sia una perdente.(Devono essere gli estrogeni, comunque, quando il livello di testosterone aumenta anche per me, mi incavolo più facilmente. Per voi deve essere davvero dura avere a che fare con quell'ormone bastardo tutto il tempo.)
Se tu questo ragionamento sottile e strepitoso lo facessi con Tarantino, lui probabilmente sogghignerebbe e ti direbbe che solo il cinema conta, che la realtà filmica è l'unica e che nient'altro può essere altrettanto importante. E poi ti direbbe di rilassarti.;))))

Visir ha detto...

Il consiglio Tarantiniano di rilassarmi è ottimo e sempre valido. :)
Aggiungo poche parole alle tue che condivido, e trovo vere.
Esiste una differenza evidente fra mitezza e debolezza.
Questo è uno degli scopi della pratica delle arti marziali.
Non si può esercitare il bene se non si è liberi, cioè liberi per prima cosa dalla paura.
Parimenti chi non conosce la propria forza non può neanche riuscire a rinunciarvi per una consapevole espressione di volontà.
Questi principi non sono propri solo dell'arte del combattimento ma della vita.
Ecco perchè in cuor mio pur amando molto le persone non posso che constatare che il male e il bene accade sempre... E non è quasi mai veramente determinato.
Penso anche che chi non sa “veramente” odiare non sa amare "veramente"; è una questione di energia.
Chi, mi domando, ha il valore di andare fino in fondo? Pochi, pochissimi.
Concludo prendendo a prestito le parole di un grande: "La vita è un mostro solo per chi non ha il coraggio di guardarla dritto negli occhi".
Non dimentichiamo però che la vita siamo noi.

P.S. ho gradito il tuo commento su D&B anche se il post che ho scritto non è del livello di quelli pubblicati su Visiria, ma sai com’è… Nessuno è mai un buon giudice di se stesso ;)

Vanessa Valentine ha detto...

Allora andrò a leggere tutto, e grazie per il tuo suggerimento!
Sull'intensità dell'amore e dell'odio concordo, sono due potenti motori (anche se detestando una persona si ha una marcia in più, l'amore è bello ma è più facile prestare il fianco alle fregature. l'odio rende più scaltri e determinati. Però ti consuma di più, bisogna tenerne conto).
Dio è allora la bontà umana e il male le azioni egoistiche e crudeli? Più responsabilità per gli umani che non possono scaricare il barile sul metafisico?
Grandi enigmi, a stomaco vuoto risolvo poco, però.;)