martedì 1 marzo 2011

Totem e tabù

Al mattino, di recente, sfaccendo un po', compro i giornali, faccio i soliti metri e metri di flanella esistenziale, insomma.
Se riesco, nei limiti del possibile, a mezzogiorno spaccato mi metto a guardare il già citato e rutilante canale digitale free Real Time (quello che offre abiti da sposa, nozze da favola, rendevù principeschi con l'amato, insomma tutta la roba che piace alle donne e non solo nella vita).
C'è una trasmissione in particolare che mi sconfinfera parecchio (vuoi perché sto mettendo su a quell'ora i bigoli col ragù e i funghi che mi ha preparato la Mama, oppure le bracioline, o il risotto o qualche cosina sfiziosa da mangiare a pranzo (sfizioso è l'aggettivo molesto del decennio, basta farci il callo. Altra parola che mi sta sui maroni è "macchiatone", la detesto, non so dire perché. Bòn, chiuso l'argomento) ed è "Grassi contro Magri", credo sia una produzione inglese - si vedono bei paesaggi di campagna e città inglesi di varia natura e genere.
Ci sono il dietologo belloccio (da invitarlo per cena e soprattutto dopocena), una giornalista per sua ammissione perennemente a dieta, Anna Richardson, donna che io trovo incantevole e che corteggerei, giuro, se la materia mi interessasse, più un'altra signora che si accompagna a giovanotti discinti, molto simpatica e che adesso sta facendo un'altra trasmissione sulle donne americane e sui loro problemi con la dieta. Questa signora ha mosso una crociata contro i sederoni britannici, nella prima serie.
La puntata di solito mette a confronto due stili di vita tremendi (senza tanti giri di parole): c'è una persona magra magra ma aiutami a dire magra, la quale mangia solo una mela la mattina e poi beve Gatorade fino a sera, saltando la cena, e una decisamente sul robusto, la quale invece ingurgita 3000 - 3500 cal al giorno. Al di là dei discorsi che un normopeso può fare, e che lasciano il tempo che trovano, vedere in biancheria intima (orrenda, color caffelatte, mica completini LaPerla) una persona con le costole sporgenti, le braccia ridotte all'osso e la pelle venosa e piena di macchie fa una certa impressione. Le persone decisamente obese, al contrario, sembrano paradossalmente più in salute, con tutte le soffici rotondità che ricadono sul corpo. Lamentano, chiaro, problemi agli organi interni, diabete e così via e una fame perenne, insaziabile.
Con lo stile da reality (che sia tutto vero? che sia tutto finto??) una persona si mette a guardare e pensa, Signore ti ringrazio per avermi dato un appetito normale, una vita serena e una buona dose di menefreghismo riguardo ai diktat sociali. La giornalista racconta che tutte le donne sul pianeta almeno una volta nella vita hanno fatto una dieta (generalmente campata in aria, più dannosa che altro). Meno male che per i casi gravi c'è questa bella clinica con dietologo che te lo mangeresti su di un letto di radicchio.
Insomma, i due casi problematici si scambiano la dieta per cinque giorni: quello magro deve mangiare le salsicce farcite e chili di Twix e Mars (bono) e quello cicciottino deve stare con porzioncine di cereali, zucchine bollite e acqua sgasata. Le facce sono di sofferenza pura, fanno veramente pena, poveracci. Anche perché se uno odia mangiare e ha uno stomaco grande come un portapenne come fa a buttare giù chili di schifezze?
Oggi ce n'era anche una che odiava le capesante: ma come si fa a odiarle? Sono la cosa più buona sulla terra!
Ci sono anche momenti in cui la gente, depressa per via di quello che gli tocca mangiare, litiga visto che si sente messa in croce per la propria vita e le abitudini. Non c'è niente da fare: il cibo è davvero la grande ossessione di questi tempi. Averlo, controllarlo, respingerlo. E le sue influenze sul corpo rappresentano l'ultimo tabù possibile, insieme alla morte.
I magri cibofobici tirano avanti con vite piene di impegni e lavoro (c'è da chiedersi come facciano, sono bravi ad essere ancora vivi). Molti di loro sono perfezionisti e competitivi, con l'ossessione del controllo, e il cibo viene spesso visto come un nemico da combattere.
Gli obesi, paradossalmente, sono più vitali: soffrono come tutti di momenti di smarrimento, tristezza e debolezza e i cibi dolci, soffici e grassi sono la fuga. Alzi la mano chi non si sfonda di Nutella in un pomeriggio buio di gennaio, dopo aver litigato con qualcuno. Il meraviglioso magnesio del cioccolato è lì per noi, per renderci più reattivi, più intelligenti, più ottimisti. Il corpo lo sa, e infatti ne approfitta.
Il più delle volte la gente non capisce come si è ridotta finché non vede le foto scattate. Fanno davvero paura.
Ci sono anche parentesi più dolorose, con ragazze che raccontano il dramma dell'anoressia, e infatti c'è lo psicologo che fa tutto il quadro della situazione.
Va detto anche che gli inglesi mangiano delle porcherie stratosferiche. Trozzi di prosciutto sotto plastica che io non darei nemmeno al gatto, robe colorate di natura extra-planetaria, cibi precotti che ricordano nottate di baldoria finite male. Io, sinceramente, non mangerei niente di tutto questo. Ammetto di essere maniaca sulla salubrità dei cibi (non ancora ortorossa conclamata ma insomma), cerco cose semplici da cucinare in modo saporito e possibilmente leggero. Se ho voglia di tocci e toccetti, il sugo me lo faccio da me, magari con le verdure dell'orto, la carne giusta...Uso il burro nelle dosi giuste, nella vita ci vogliono anche i fritti, perché metterli al rogo?
Noi siamo un popolo fortunato, con una grandiosa cucina. Ti verrebbe da dire al dietologo, senta, doc, li mandi tutti e due da me per due settimane e vedrà se quando tornano non stanno meglio. Gli cuciniamo qualche cosetta regionale nostra e poi ne ridiscutiamo. Altro che vaccate da takeaway (oddio, qui vicino c'è però un ristorante cinese che cucina benissimo, è uno dei migliori di Padova).
Le colazioni all'inglese le abbiamo già sviscerate ( e loro stavano per eviscerare noi), non puoi buttare giù pancetta, uovo e fagioli tutte le mattine, semplicemente non puoi. Ho capito che si è sempre fatto così, però è chiaro che se per strada si vede troppa gente sovrappeso bisogna farci un pensierino.
Il discorso è veramente tabù, se ci pensate: se dite ad un'amica ti vedo bella in forma, lei subito sbianca e fa, ma non grassa, vero? ma grassa de che, sei piccolina e pesi 50 kg, sei giusta! Se sei alta come me ne dovresti pesare più di 60, e poi vanno ragionati il moto, la sedentarietà, il fumo, l'alcool.
La gente, tutta, ti fa i complimenti perché sei magra. Ma non è un merito. A parte che una visto che ha poca voglia di fare sport ha la cellulite, in seconda battuta mangia quando ha fame e varia la dieta, prova tutto perché è così che si fa, per dare al corpo tutto quello che gli serve, non è che si merita una medaglia perché è magra. Non c'entra niente con i meriti morali o intellettuali. Ma da dove arriva quest'idea che i magri sono i nuovi eletti? Perché uno pensa che siano pieni di abnegazione, capaci e rinunciatari? Alcuni sì. Altri invece hanno avuto quattro nonni su quattro che si sono sciroppati due guerre mondiali e tante pettole magre. Puro culo.
La mattina, comunque, mangiano il caffelatte coi biscotti e non la pancetta imburrata, ecco.
Il punto è che tutta l'Europa ingrassa, l'America non è una novità e tra un po' ci sarà una vera pandemia di diabete e malattie cardiovascolari. Noi saremo lì, sedotti da un Mars, l'ennesimo, stretto in mano, perché ormai abbiamo perso il controllo. Perché è vero, certi cibi ormai li abbiamo nei gangli nervosi: sono lì silenti ma pronti a farci fuori se ci fidiamo troppo di loro.
Stasera metto a bollire tre carote e poi le faccio fuori con l'olio e l'aceto: un bel pezzettone di asiago, il pane con le noci, un pezzettino di cioccolato. Magari anche i funghetti sott'olio (lo so, 'na droga). Stasera è arrivata anche la bora, fa un freddo. Mi servono robette buone e gustose. C'è ancora l'inverno, tra noi!
Per chiudere il discorso sulla trasmissione, è pur vero che dopo tre mesi di dieta prescritta dal dietologo le due persone hanno migliorato il loro stile di vita kamikaze, e infatti il magro ha, a fatica, preso due-tre chiletti, ma (sarà anche truccato, non dico di no) sembra decisamente più vivo della prima volta che l'abbiamo visto. Invece è notevole il peso perso dalle persone pienotte: 20 chili e più, i primi sono facili da smaltire, quelli duri vengono dopo. Tutti sembrano comunque sollevati dal fatto che qualcuno ha preso in mano le loro vite, al momento, e le ha risolte.
Il dietologo comunque perora la causa della dieta mediterranea. E daghe e daghe chissà che un po' alla volta anche gli amici inglesi attacchino a mangiare un po' meglio.
Capisco le persone con tanti chili in più: ma quelli che sono normali, e mangiano volentieri, ma perché castrarsi la vita con la dieta del broccolo un giorno sì e l'altro anche? Non si è migliori digiunando, ma volendo bene al prossimo.
E le modelle delle riviste sono finte, bidimensionali, tristi, straphotoshoppate, aliene. Ti dicono che sono dei modelli, ma le hai viste? Io rifuggo dalla gente corrucciata, non so voi. Sono ricche, ok. Ma non mangiano i bigoli col ragù della Mama con la stessa voluttà che ci metto io.
Sono pronta a scommetterci dei soldi.
Iddio ci salvi dalle diete inutili.
Abbiamo ben altri problemi, nelle nostre vite. No?

16 commenti:

Visir ha detto...

Conoscevo questa storia dalle cronache, la vicenda è stata veramente drammatica; Visto che nella realtà il poveretto si è dovuto tagliare il braccio con un temperino e camminare sotto il sole per quaranta chilometri, dopo circa tre giorni di immobilità sotto il masso che gli era rotolato addosso.

Questo uomo sostiene che l'esperienza gli ha cambiato la vita (come dargli torto) ed ora per lui nulla è impossibile, almeno così sostiene. Conduce così con successo dei seminari di motivazione (molto in voga in U.S.A).
Poi, puntuale come una cambiale, su questa storia ci hanno girato pure un film.
Pare veramente un happy end, in linea con l’opinione (molto americana) che ognuno è padrone del proprio destino ignorando però che niente diverte il Fato come questa affermazione. Mi pare ovvio che l'appuntamento è solo rimandato, il nostro beniamino non ha certo vinto la morte, ha avuto solo una proroga di qualche migliaio di giorni, mi auguro per lui.

Ora, cercando di sorvolare sulla banalità che è sempre in agguato nei racconti e nei commenti di situazioni del genere vale la pena riflettere su un paio di considerazioni più profonde, almeno a mio modesto parere.

La prima è che non ci conosciamo quasi per nulla e a voler guardare bene, facciamo di tutto per non metterci alla prova per conoscerci.
Rimanere veramente nudi di fronte a se stesso non è cosa da poco. Se applicassimo metà dell'intelligenza e dell’impegno che usiamo per riempirci lo stomaco, correre dietro al sesso opposto e sgomitare nella vita per possedere degli oggetti futili, avremmo le forze e il tempo sufficiente per avere ottime indicazioni sulle nostre poche pretese virtù e sulle nostre molte meschinità nascoste ad arte.

La seconda considerazione invece, più sottile, è che ogni esperienza personale non è trasferibile ad altri.
L'illuminazione o più prosaicamente, l'intuizione, dipende molto da chi vive l’esperienza e in quale momento la vive, ma soprattutto dalla domanda che alberga dentro di lui, sia che sia formulata coscientemente o inconsciamente.

In particolare cercare di condividere l’insegnamento appreso a caro prezzo con la massa di esseri umani, spesso ipnotizzati dal tran- tran quotidiano è come pensare che masticare una cicca possa aiutare qualcuno digiuno di matematica a risolvere un’equazione.

Non parlo però solo di fatti estremi, di eventi eclatanti, di guerre, di pestilenze, di invasioni di cavallette o di atti eroici al limite dello straordinario, ma anche delle piccole intuizioni che accadono nel quotidiano rivelandoci spesso la realtà per quella che è.

Quanto spesso è capitato ad ognuno di noi che parole, immagini colte al volo abbiano aperto mondi inaspettati nella nostra vita? Non sarà successo spessissimo, ma accade.

Tutti inciampiamo prima poi nella verità, però di solito ci si rialza e si continua a camminare… come se nulla fosse.

Vanessa Valentine ha detto...

Ehilà, Visir, bentornato su questi lidi!
Il nostro appuntamento con la signora ghignante è ormai in agenda, lo sappiamo tutti che non ci possiamo fare niente. Nonostante tutto non possiamo metterci in divano in stato catatonico, aspettando la morte nelle buche dell'agonia, come Melman, la giraffa di Madagascar...
Viviamo nostro malgrado, l'istinto lavora per noi. A volte è meglio riflettere meno e buttarsi di più, ed è anche più divertente.
Anche se siamo stanchi di camminare, bisogna farlo lo stesso. poche balle.:)))))))

Visir ha detto...

Certamente camminare, ma verso dove? Sarebbe leggittimo domandarselo.

Anche l'uomo più ignorante sa che un giorno questa rappresentazione dovrà finire, ma non voglio fare sempre la campana che rintocca sul campanile della chiesa mentre tutti si toccano i gioielli di famiglia.
Credo però, che la riflessione su argomenti per così dire "esistenziali" debba rimanere aperta dentro di noi.

Cercare di godersela con il sentore di aver rimosso dalla coscienza le domande più profonde è come quando da adolescenti si andava ad una festa senza aver finito i compiti a casa.
Ci si divertiva, ma non completamente.

Ecco perchè mi piace sviscerare pensieri apparentemente tenebrosi, così poi posso godermi il sole in santa pace.

E'evidente che non ho soluzioni anche perchè considero le soluzioni in definitiva delle prigioni, solo un pò più confortevoli.
Mi piace invece guardarmi intorno, sforzarmi di ragionare con la mia testa e godermi il mio corpo con le sensazioni che ne derivano.

Sorrido spesso delle vanità degli altri, ma rido veramente solo delle mie.
Un riso però che resta un enigma anche per me stesso, non so mai se rido per saggezza o per follia. :)

Gillipixel ha detto...

Vale, dalla mia modesta ed insignificante esperienza :-) mi pare di aver capito una cosa: anche per affrontare i "vizi" è necessario ricevere un'educazione...intendo in questo caso la parola "vizi" con un significato un po' diverso da quello suo consueto...intendo cioè tutte le cose che danno "dipendenza" (anche questa intesa in senso leggermente diverso dal suo solito...minchia, sto rivoluzionando il dizionario :-D

Il cibo, visto con una certa ottica, è una dipendenza e come succede con tutte le dipendenze, dobbiamo imparare a fare i conti con esso...dobbiamo fissare i limiti della nostra libertà nel suo ambito :-)

Ricordo che da bambino ero un "mangiatore ignorante" :-) non capivo la bellezza, la complessità di certi gusti che ho imparato ad apprezzare solo dopo...non capivo la saggezza del saper dosare voglia e suo soddisfacimento...
Il discorso si fa ancor più cruciale parlando ad esempio del vino e dell'alcol: lì è necessaria un'educazione molto articolata...

Il rapporto col cibo e col bere è una sfida alla nostra maturità e quando ci si accorge che si sanno giocare bene le partite di questa sfida, ci si sente bene...tutti i disordini e le storpiature invece non a caso hanno il sapore della sconfitta...

Non sto poi a sottolineare la ricchezza di passaggi narrativi così colmi di grazia che hai inserito in questo articolo :-) Leggere le tue cose è sempre una delizia per palati sopraffini :-)

Ciao Vale :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Caro Visir, spero tu rida per saggezza (anche se nella follia vi è qualcosa di leggero e soprannaturale...), come è giusto fare nella vita. Noi camminiamo, è vero, e non sappiamo perché o dove, eppure da secoli camminiamo, o comunque lo fanno i nostri acidi e ci portano con loro, generazione dopo generazione. Bisogna sempre ricordarsi che noi, nell'ottica naturale, non siamo poi così importanti: siamo nel mucchio, per la natura, figli numerosi, tutti utili ma nessuno indispensabile. L'essenziale è andare avanti. Noi da tempo siamo entrati nella prospettiva del lasciare qualcosa di importante, senza ricordare, purtroppo, che anche i più grandi verranno dimenticati, sempre. A parte i buonissimi, i bravissimi o i cattivissimi. Tutte categorie dai ranghi smilzi. Per questo mi batto per entrare nella fila dei pigrissimi, rivendicando per me il diritto canino di poltrire al sole e di abbaiare alle nuvole, senza motivo.
Se sviscerare i pensieri tenebrosi ti dà sollievo così ti puoi godere la pennica in terrazzo, tanto meglio.
La vita è e sarà sempre troppo oscura per noi, pur immersa nella sua luce.
Credo anzi che andare alle feste, da piccoli, fregandosene dei compiti da fare, sia l'unica filosofia buona per sopravvivere...:)))))))
Poi, ovviamente, tutti liberi di fare come si crede, al solito...:))))))))

Vanessa Valentine ha detto...

Concordo con te su tutto, Gilli, ci vorrebbe un'educazione complessa, fatta fin da piccoli, educando anche alla gestione dei presunti vizi (o esagerazioni) che rendono bella la vita.
Diciamo che mangiare è quella che, se ben gestita, dà significato alla vita...anche se poi gli altri vizi più pesantini, che si scoprono crescendo, hanno sicuramente un impatto più pesante sul fisico (fumare fa male ma lo sappiamo tutti che fascino ha, e quindi è davvero dura darci un taglio. E bere offre sensazioni piacevoli, al palato in primis, e di soffice rilassamento in secundis...oltreché essere un fenomeno sociale a cui è difficile resistere...)
E' vero, si diventa grandi imparando a gestire la libertà, che è il dono più grande ma anche più impegnativo.
L'unica cosa che mi causa sofferenza è vedere tanti esseri umani che negano il valore del cibo, la sua bellezza, la sua storia che in fine è anche la nostra, e l'indifferenza verso tanta bontà, cultura e sapienza, nonché talento, di solito mi ferisce nel profondo.
Persone che odiano il cibo sono forse figli di persone che a loro volta lo ignorano...in questo caso sì che bisognerebbe perderci tempo nelle scuole, e insegnare a mangiar bene, e a goderne, nei giusti limiti...
La libertà si insegna in tanti modi, e la cultura è fatta di tante cose, soprattutto gustose e invitanti, e magari coperte di formaggio...:)))))))
Ti omaggio di un piattone di maccheroncini al brie e radicchio al vino...;))))))))

Salazar ha detto...

Un risotto facile facile, classico, quello con i porri e un bel controfiletto alla pizzaiola con il purè di patate: pomodoro, aglio, capperi e origano coma lo faceva la mia nonna.
Non avevo niente di particolare da dire, e allora sono passato a salutare e a riferire il menù.

Vanessa Valentine ha detto...

Ci inchiniamo anche al cuciniero Salazar, uomo dal multiforme ingegno (all'Ulisse) e talentuoso ai fornelli...:)))))))
Gli amici del sud e del centro Italia spignattano volentieri, ma sono stati raggiunti anche dagli uomini del nord che finalmente si appassionano alle pignatte...io ho avuto gli esempi di nonno e padre, mio nonno seguiva la filiera della carne allevandosi le bestie e poi cucinandosele...non proprio da vegani, ma era un uomo del suo tempo. Comunque da lui si mangiava da dio. E mio padre ai fornelli è bravo, un carnivoro coi fiocchi.
Salazar, ho visto che ho dei porri in frigo quindi metto su il risotto da te suggerito...il controfiletto alla pizzaiola va sul menù alla prossima spesa...;))))))
E' sempre un piacere (anche gastronomico) sentirti!:)))))))

Arianna ha detto...

Ciao cara, non commento spesso i tuoi post..e d'altra parte come si può commentare la perfezione?
Ma sappi che ti leggo sempre.
Baci

Vanessa Valentine ha detto...

Arianna, cara, grazie! sono sempre felice di sentirti!
sei troppo buona con me, ma te l'avevo già detto!:)))))))
dai, diciamo che ci divertiamo!;)

Salazar ha detto...

I porri in Italia me li ricordo belli grandi, regolari regolari, come fatti in serie e con il sapore buono, ma più tendente al vuff che al paradiso. Qui sono piccolini, anche un po’ bitorzoluti, non ne trovi uno uguale all’altro per dimensioni, ma il sapore vola alto.
Non dovrei dire questo, e me ne scuso, ma tu com’è che fai? Metti metà porri tagliati tipo cipolla per il soffritto subito, prima del brodo, e poi il resto a metà cottura abbondante tagliati ben più grandi e anche con qualche sfumatura di verde? Perché sennò....

PS: per dire, faccio parte di una perseguitata minoranza etnico-filosofica: quella che per il risotto usa l’arborio. Posso anche ricevere un alto livello di insulti per questo, ma non rinnegherò mai la mia etnia. Forse.

Vanessa Valentine ha detto...

Allora, io metto un primo strato per il soffritto con un po' di vino e faccio andare, poi aggiungo il secondo stratone finché non si smollano e diventano una pappa cremosa, metto il carnaroli, il burro, il formaggio e faccio andare, poi metto l'olio d'oliva e rinnovo lo stratame di burro e formaggio...leggero.
Mi piace bello condito.
Qua ci dobbiamo accontentare dei porri standard, quelli dell'orto dei miei sono migliori, devo dire.
La Mama mi proibisce di mettere la parte verde.
Rispetto la tua etnia arboriana, a me piacciono i chiccotti grossi del carnaroli, direi che tutte le scuole di pensiero sono valide...hai qualche bella ricetta da suggerire per il riso venere, quello nero? so che si accompagna a carne e pesce, sarei curiosa di provare qualcosa di esotico.:))))))

Salazar ha detto...

Benissimo. Io non metto il vino (sono un purista, anche se il vino non ci sta male affatto, devo dire), e per la parte iniziale siamo là. Anche sulla mantecatura finale siamo carta carbone.
Differenza: io aggiungo la parte bianca limitrofa al verde (ma proprio idee di verde) quando il riso sta viaggiando da una decina di minuti. Naturalmente, la quantità dell’ultima aggiunta è soggettiva, e per me la parte di porri meno cotta da la botta di gusto finale e fa un po’ di confusione estetica al momento di servire.

PS: mai usato il riso nero, spiacente.
RiPS: e tu non dirlo alla mamma che usi il verde, che fai queste cose disdicevoli. Che tanto le mamme sono sempre le ultime a sapere.

Vanessa Valentine ha detto...

La mia le cose le sa prima ancora che le sappia io...:)))))
beh, sui porri non le diremo niente.
Le verdure prima della fine della cottura danno il giusto tocco, in effetti: sapore ed estetica vanno bene a braccetto.
Il vino lo metto sempre con le cipolle, mi piace di più.
Ma è un periodo che cucino quasi tutto col vino, specie se ne avanzo e là in frigo sta a languire: il polletto lo faccio con vini misti, burro ed erbette, viene tenerino e mi piace.
Proverò a fare un piatto coni gamberi e il riso venere, e poi ti saprò dire.:)))))

Salazar ha detto...

Mamma, vino e cucina mi ricordano un episodio che ti voglio raccontare.

Tanti anni fa (ma proprio tanti), ritornavo al borgo natio da un breve viaggio in Francia, portavo con me un colesterolo al limite dell’umano, frutto di nordiche salse e salsette, e una cassa di Pouilly-fumé.
Sei bottiglie di splendido vino bianco costate non un occhio della testa ma quasi. Non ricordo la cifra esatta, pagata in franchi e poi tradotta in lire, ma ricordo che la parte risparmiosa della mia coscienza s’incazzò tanto da non rivolgermi più la parola per almeno una settimana.
A questo punto devo dare una informazione tecnica utile alla futura comprensione di questa storia: il Pouilly-fumé giace dentro bottiglie chiamate “bordolesi”, bottiglie con il collo basso e le spalle larghe, l’esatto contrario di molte bottiglie di vino bianco italiane chiamate “collo lungo” perché hanno – appunto – il collo lungo e le spalle inesistenti.
Contemporaneamente a me arrivò in casa la notizia che la New York University, bontà sua, aveva accettato lo scrivente come frequentatore di un corso semestrale, e tutto a quel punto diventò felice, speranzoso e sincopato. Tanto sincopato che le sei bottiglie di vino, dimenticate chiuse e sigillate nella loro cassa fashion, chissà come, chissà perché, rimasero parcheggiate nella cantina della casa dei miei.
Il soggiorno a New York fu una esperienza molto bella, ma il racconto della medesima non fa parte di questa storia. Ne fa parte invece un pomeriggio di neve e freddo inverecondo, nel quale, intabarrato come un carciofo e con evidente sprezzo del pericolo, stavo camminando lungo la Madison Avenue, esattamente all’altezza dove c’è – guarda caso – una delle più famose enoteche del mondo. Non potevo non fermarmi a guardare la vetrina, e infatti mi sono fermato.
L’attrazione esposta in quel nevoso dicembre, come tutti i nevosi mesi di dicembre, era un qualcosa intitolato “The best 50 last year's wines" or something like that: si sa, gli americani fanno classifiche per qualsiasi cosa, figurarsi per i vini.
Sotto alla scritta c’erano i cinquanta vini prescelti, cinquanta bottiglie una dietro l’altra con a fianco il numero progressivo: il numero quattro della lunga fila, a volte fresca fruttata e a volte vivacemente tannica, era – udite, udite – il mio Pouilly-fumé!
Cosa dire? Chi mai fa un acquisto così, in scioltezza, senza pensarci su: sprizzavo orgoglio da tutti i pori, che poi si solidificava nel freddo.

Tornato a casa, dopo i canonici due giorni di cose opportune e obbligatorie, ho finalmente pensato al dilettevole: “mamma, dov’è la cassa di vino che ho portato dalla Francia?”
E lei: “in cantina, dove vuoi che sia?, dev’esserci rimasta ancora una bottiglia.”
E io: “come ancora una bottiglia?”
Lei: “si, le altre le ho usate.”
Io: “usate?! Usate per cosa?”
Lei: “usate per fare da mangiare. Il risotto viene tanto bene.”
A quel punto la preoccupazione materna - davanti da un figlio improvvisamente impallidito che la guarda senza proferire parola e con la bocca spalancata - impone una spiegazione particolareggiata dell’accaduto: “le bottiglie di bianco, quelle collo lungo che compra tuo padre mica ci stanno dentro al frigo, invece quelle là francesi sono perfette. Guarda!” E apre il frigo mettendo in mostra una bottiglia di Pouilly-fumé (il quarto del mondo, sic!), aperta e con circa tre dita di contenuto, perfettamente posizionata in una delle mensole della porta. Ne troppo bassa ne troppo alta, dimensioni più che appropriate: sembrava fatta apposta per essere messa lì. Perfetta.

Un vino meraviglioso quel Pouilly-fumé, ne ho bevuto poco, una sola bottiglia con gli amici, peccato perché era proprio meraviglioso.
In compenso ho avuto la certezza certificata che mia madre fa i quarti risotti più buoni del mondo. E non è da tutti.

Vanessa Valentine ha detto...

:))))))) che belli i tuoi racconti, Salazar! Me la immagino la tua espressione sconvolta, a udire le parole della mamma (hai peraltro reagito con invidiabile scioltezza, io potrei dare concretamente di matto, se la mia confessasse la stessa cosa...per il terrore di miei gesti inconsulti se mi toccano qualcosa che ho lasciato in giacenza, i miei mi chiedono minimo tre volte se possono buttare via le mie robe - a casa loro, chiaro. Tanto per dare l'idea della personcina che sono).
Quantomeno hai potuto assaggiare il pregiato nettare, e avere la certezza della bontà dei risotti materni - il vino dà, in effetti, quel jenesèpà a tutto.
E così hai visto anche New York...meta meravigliosa, mi par di averlo già detto.
Che bello viaggiare, ciacolare, bere vino grandioso e papparsi i risotti...questo sì che è vivere...:))))))))