mercoledì 13 aprile 2011

Parcheggi

Avendo sempre guidato raramente, in pratica mai, il problema dei parcheggi non si era mai affacciato dalle terrazze della mia mente.
Se uno si mette comodo sul sedile di un bus, con il suo bel giornale liscio e vergine di pacca spiegato lungo coscia e ginocchio, con l'ipod all'orecchio o un bel libro nuovo nuovo e fresco di libreria pronto a dischiudere una marea di vibranti avventure, beh, il suo ultimo pensiero una volta che scende dal suddetto bus e girella per la città senza uno straccio di pensiero riguardo a posteggio, soldi da mettere in fantomatiche macchinette, strisce blu, bianche, gialle o fucsia, dischi orari o manovre è la costante preoccupazione per lo stato di salute del suo automezzo, se lo ritroverà al ritorno, se troverà qualche sorpresina sotto il tergicristallo, se troverà decorative rigature lungo la fiancata...un sacco di "se troverà", insomma.
Detto tra noi, io ho faticosamente imparato a far muovere una macchina, non ho mai imparato a parcheggiare. Mi ero illusa di essere in grado di farlo ma era appunto solo una pia illusione. Se una va nel parcheggio del supermercato all'una del pomeriggio di sabato, riesce a piazzare la macchina al "suo" solito posto, manca poco che ci mettano la targa col suo nome, commemorativa, guadagnata con costanza ed onore sul campo. Una è impedita totale ma non lo sa, non lo vuole nemmeno immaginare. Facile parcheggiare in mezzo ad un aeroporto, no?
Ti trovi nei casini grossi quando la città ti aspetta al varco.
Tanto per fare qualche esempio, magari ti tocca andare all'ospedale, portarci qualcuno, per visite, operazioni, tutte cose che già ti preoccupano un pochetto. Metti il carico da undici e considera che devi parcheggiare la macchina in un posto che già con quindici macchine dentro schioppa come il centro commerciale sotto le feste. L'ospedale lo hanno costruito negli anni '50, se va bene, quando la macchina ce l'avevano solo il medico condotto, il signorotto locale e il veterinario (vecchia e pulciosa, però). I comuni mortali andavano all'ospedale a piedi, magari col braccio in mano, ma si muovevano ordinati ed ecologici. Andarci era un lusso, la gente partoriva in casa, pensa te.
Questo spiega il parcheggio di dieci metri quadri.
L'altra mattina sono partita di casa alle sei di mattina, dicendomi: "ma un buco lo troverò, alle sette albe, no?" Chi vuoi che ci sia, a quell'ora. E infatti ho rimediato uno spazietto, tra un arrogante furgone bianco tracotantemente piazzato a cavallo della striscia e una Micra ostile ed ottusa che fingeva di essere smilza, e invece no.
Per tutto il tempo mi sono chiesta se avevo chiuso la macchina, se avevo spento i fari, un incubo.
Non sono fatta per guidare troppo, ogni volta che torno dalla città ho perso un chilo, tra lo stress, la paura e le sudate.
Ho ancora qualche problema a capire quanto vada girato il volante, in caso di curva. Forse mi ci vorrebbe il goniometro.
Per fortuna quando sono in salita faccio fare dei tironi pazzeschi al motore, con la gente che si gira sbalordita. Io faccio il sorrisetto impacciato mentre attorno si fa il vuoto. Tutto questo mi lascia ampia libertà di manovra, grazie a Dio. Incredibile come la gente decida così, su due piedi, di rallentare o girare, quando ha me davanti on the road.
Ci vuole probabilmente un po' di tempo, un po' di occhio, pazienza e calma. E infatti non dispero.
Ci sono dei posti a Padova con microparcheggi bucosi, già tre Smart dentro ed abbiamo il pienone. Tu arrivi e c'è già un signore anziano con la sua bella macchinetta in mezzo al ballo che aspetta la moglie fuori da terapia. Naturalmente arriva una mammina sprint con monovolume gigantesca e tre bimbi la quale vuole passare, con le buone o con le cattive. Il diritto glielo dà l'avere una macchina grossa, tondeggiante, liscia e cattiva come l'astronave perfida degli alieni perfidi. Noi, con le nostre macchine normali, con noiose e lente mogli anziane che escono lentamente dall'edificio o impedite quarantenni che leggono nervosamente una rivista di moda terrorizzate dall'idea di dover spostare tutta quella pesante ferraglia un'altra volta e non si sa dove, siamo un mero impiccio sulla strada del progresso, della velocità e del futuro. Insomma, levati di torno, fammi spazio, non m'importa dove vai.
L'ideale sarebbe stare sempre in movimento, girare perpetuamente in tondo come il Tricheco e il Carpentiere in "Alice nel Paese delle Meraviglie", impegnati nella Maratonda. Nessuno ti guarderebbe male per il tuo sciocco parcheggio, saresti un satellite imprendibile, un asteroide troppo sveglio per essere visto e giudicato.
Non è certo colpa tua, bisogna dirlo, se alcuni parcheggi sono stati studiati da menti diaboliche, impossibilitando qualsivoglia manovra un umano possa fare. Ebbene sì, non so parcheggiare, il cervello mi va in aceto quando devo metterla troppo attaccata al muretto e in mezzo ad altre due macchine, piuttosto vado più in là e mi faccio un pezzo a piedi. All'esame di guida (1997) era andato bene tutto, compreso lo sventare un incidente al semaforo in centro a Mira perché una vaccona mi aveva cacciato la freccia a destra (io a sx) e poi era venuta su dritta sparata contro il muso della nostra macchina. L'ingegnere, seduto dietro, era visibilmente smagrito, io avevo mantenuto il self control mandandola telepaticamente a caghér e incenerendola con lo sguardo. Poi erano arrivati i dolori. Dopo innumerevoli tentativi di cacciare la benedetta Punto in mezzo alle famigerate e sopracitate macchine gemelline, mi sono sentita fare i complimenti, comunque, perché avevo passato l'esame ma anche il caldo consiglio di parcheggiare sul largo, sempre. Fatto tesoro della dritta, chiaro.
Almeno fino ad ora.
La Mama è il genere di donna che parcheggia stretta e in retromarcia, e questo prima di avere il gioiellino della Fiesta nuova. Adesso fa ancor di più la sfacciata. Avendo imparato a guidare i trattori a nove anni è facile, eh.
Non penso dipenda nemmeno dal fatto di essere una donna - tutti concordi nel dire che le donne non sanno parcheggiare bene, certuni...io sarei negata anche se la natura m'avesse fatta con voce baritonale, muscolosa e testicolare, immagino.
Non c'entrano le gonadi, è proprio il mio cervello che non sa parcheggiare, chissà.
Ripeto, non ho nemmeno imparato a guidare così bene, poi.
Mi limito a confidare nelle leggi della fisica, e a sperare.

7 commenti:

Salazar ha detto...

1
Parcheggi, eh? Guida aggressiva, eh?
Non so bene perché (o forse si), la cosa mi ricorda quando, nello scorso secolo, la Repubblica Italiana ebbe la pessima idea di farmi fare il militare. Mi mandarono fuori Udine, in mezzo alle jungle lungo le rive del fiume Torre, in una caserma che gli infelici residenti chiamavano “Fort Apache”: appellativo molto esaustivo, credo.
Era il 27◦ RAPS, ovvero il 27◦ Reggimento Artiglieria Pesante Semovente, ovvero solo una parte di esso, la parte più rustica e selvaggia di esso, perché quelli della caserma comando se ne stavano tranquilli in centro a Udine e alle sei di sera andavano a bersi i bianchetti nelle osterie. Invece a Fort Apache alle sei di sera, tanto per gradire, i mitraglieri sparavano alle volpi con la Browning, che per intenderci è una mitragliatrice pesante che carica roba calibro .50: in pratica mezzo chilo di piombo. Ma non c’era da preoccuparsi per le volpi, che tanto con la mira che si ritrovavano quelli, le volpi non le avrebbero centrate neanche se si fossero presenteta al cancello principale con le zampe in alto.
Il fiore all’occhiello del 27◦ erano degli enormi cannoni a lunga gittata montati su cingoli (una versione dello statunitense M110 che noi chiamavamo C111, non ho mai capito perché): roba pesante e semovente, quindi, come da titolo del Reggimento selvaggio stanziato a Fort Apache .
‘Sti cosi erano degli smisurati bestioni larghi 3 metri e passa, lunghi 10 metri e passa e pesanti più di 30 tonnellate, che avrebbero dovuto sparare – quando e se funzionavano – a più di 40 chilometri di distanza. In teoria potevano sparare anche testate nucleari tattiche. Ovviamente non lo hanno mai fatto, ma la cosa sarebbe stata da ridere e da piangere assieme, infatti la mira degli artiglieri non era mica migliore di quella dei mitraglieri, e sa Dio dove sarebbero finite le bombette atomiche. Forse nominando capo pezzo una di quelle scaltre volpi del fiume Torre si sarebbe potuta migliorare la situazione.
Ai tempi ero fresco fresco di laurea: architettura con specializzazione in restauro e riforma di edifici storici ed artistici. Tenendo presente questo titolo di studio riuscite ad immaginare chi, fra la tanta carne fresca militare dalle più svariate abilità lì presente, gli ufficiali di alto bordo scelsero per guidare uno di quegli armageddon meccanici? Si, proprio io.
La cosa non è che mi aggradava molto, già a quei tempi se fosse dipeso da me avrei abolito tutte le armi dalla fionda in su, così in un futile attimo di ribellione chiesi al capitano: “Ma che cosa c’entra un architetto con il carrarmato?”
“Hai studiato topografia.” Rispose lui.
“Fregato con le mie stesse mani” pensai io.

Salazar ha detto...

2
E così cominciai la scuola guida, se così la si può chiamare quindi sotto il sedere ti ronfa un carrarmato con 15mila di cilindrata, ma – per assurdo - la cosa si rivelò quasi divertente e i danni agli arredi urbani inestimabili.
Si perché il posto di guida era in basso a destra, la visione era ridotta al davanti (non proprio tutto il davanti) e a qualche pezzetto dal lato guida, dietro avevi il portello alzato – che non era trasparente - il resto era una montagna di ferraglia color cachi. Insomma non si vedeva “‘na minchia tanta” (come diceva il sergente), e a quello che non vedevi ci passavi sopra distruggendolo senza sforzo apparente: come andare sul velluto.
Pilota quasi provetto ed ex architetto con bugne artistiche, distrussi svariate cose. La più eclatante furono un paio di bidoncini da 25 litri di vernice bianca che spruzzarono fino a 20 metri. Un mio collega molto più fortunato, in un pomeriggio di pioggia battente, entrò in caserma da un punto dove il cancello non c’era. O perlomeno non c’era ancora, perché dopo la sua entrata trionfale da lì ci si passava comodi. Facendo attenzione ai calcinacci.
Feci cinque o sei lezioni, poi conobbi il sarto della caserma comando.
Il quale, sarto, conosceva alla lontana mio nonno quello friulano e – guardacaso – conosceva anche il generale perché ci faceva le uniformi su misura, ci faceva.
Ora, non è che io chiesi qualcosa al sarto, forse si, forse no, non ricordo bene, ma - stranissima coincidenza - fui improvvisamente trasferito all’ufficio contabilità con orario dalle 7:00 alle 13:00. E lì trovai il paradiso del militare.

Ps: ho dovuto dividere perché a Blogger una roba di siffatta lunghezza non piaceva: l’artigliere pesante semovente Salazar si scusa per la prolissità.

Vanessa Valentine ha detto...

Ben vengano i commenti così estesi, quando son così divertenti!:))))))))))))))
Mi avrebbe fatto comodo, prima, un carrarmato, comunque. Ho fatto rombare i motori uscendo da una specie di tratturo cittadino...tre platani a coprire la visuale, e macchine sparate da sinistra dalla rotonda.
Il massimo.
Chili persi nella giornata odierna: 1,5.
:))))))))))))))))
Scommetto comunque che con le macchine te la cavi meglio...;))))))))))

Gillipixel ha detto...

Vale, so che sarà di poca consolazione, ma sappi che anche io sono una discreta schiappa con l'automobile, e soprattutto coi parcheggi :-)

Hai centrato il punto quando dici che le nostre città, e in particolare i centri storici, sono "tarati" sulle misure e sulle movenze umane ed equine...è invetabile poi che i vari quartieri vivano con rigetto l'incursione delle scoreggianti scatolette di latta :-)

Se posso darti un consiglio però, cerca di fare un po' più di pratica, gironzola un po' di più, poi vedrai che come in tutte le cose, acquisirai automatismi senza quasi esserti resa conto da dove sono arrivati :-)

Ad ogni modo, un mio sogno segreto è il seguente: immagina la macchina più bella, la più cool, la più fashion, la più trendy, la più prestigiosa, la più pubblicizzata...poi immagina il suo adorante proprietario, un tizio che vive per la macchina, che la lava tutti i sabati pomeriggio, di quelli che ti stanno attaccati alla targa quando li hai dietro per strada, di quelli che si sentono Dio in terra solo perchè stringono il volante fra le mani...ecco, io sogno di prendere uno di questi tizi, di legarlo a una sedia, di munirmi di una possente mazza ferrata e di demolirgli la sua fottuta auto sotto gli occhi :-D

C'è un solo neo nel mio piano: io sono un fottuto buono :-) e non lo potrei mai fare :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Posso capirti, Gilli. Quando si è buoni si è anche fregati, specialmente in questo mondo...
Le macchine a volte ti spingono a odiarle/amarle, senza riserve. E a fare lo stesso con chi le guida. Spesso il carattere della persona influenza la macchina, o forse è il contrario, mah?
Sto facendo pratica, la mia bestia nera sono sempre state le salite...orrore. Chi ha inventato le salite, i cavalcavia, gli argini? perché il mondo non può essere tutta una pianura pianeggiante? I montanari io li vedo come creature speciali, specialmente perché vanno su per le salite come niente. A me verrebbe solo da piangere...
Comunque grazie per i consigli e il sostegno, ci restano pur sempre le smartine col cambio automatico, ultima spes...:)))))))))

Salazar ha detto...

Beh, si, devo confessare che con la macchina vado meglio. Anche perché gli arredi urbani, se non si è alla guida di un carrarmato, tendono a procurare danni al veicolo guidato e non a loro stessi. Un ottimo deterrente al contatto accidentale.
Per agganciarmi al post di Gilli, devo dire che sono molto orgoglioso della mia nuova macchina (comprata a dicembre), non perché sia particolarmente trendy o cool, ma perché è “flex”: funziona indifferentemente sia con benzina sia con alcool, o con benzina e alcool mescolati: è piccola la mia lotta al fianco delle fonti rinnovabili, ma sempre lotta è.

PS: divertente la scuola guida?! E non ti ho ancora raccontato di quella volta che sono andato a dormire con le chiavi della caserma in tasca. Chi era dentro era dentro, chi era fuori era fuori, e l’artigliere Salazar dormiva sognando la libertà.

Vanessa Valentine ha detto...

Una macchina davvero stracool, Salazar, allora!:)))))))))
Anche noi siamo al fianco di chi sostiene le energie rinnovabili ed alternative...una macchina che va a gusci di noce, per esempio, o a compost in generale...metti dentro le cocce di cocomero tritate e via con 50 km, puliti.
Gli arredi urbani padovani comprendono invece, purtroppo, un mucchio di platani ultracentenari (niente contro i platani, chiaro, se le strade non fossero leggermente più larghe di quel che erano nel medioevo). E i padovani amano il suv come tutti gli altri.
Oggi la manovra, all'andata, mi è riuscita leggermente meglio ed ho evitato di una buona metrata la muretta della caserma. Un nuovo record personale outdoor.
Chissà che contenti poi i tuoi commilitoni, smemorino di un Salazar! :)))))))))))
Quelli che han fatto bisboccia fino al mattino seguente ti avranno pagato da bere per una settimana...;))))))